Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 27 Venerdì calendario

I GENITORI IN PUNTA DI PIEDI ALLA MESSA VOLUTA DAGLI AMICI


La sua foto è appoggiata al piccolo crocifisso che sta sull’altare, così Rosita sembra lei il Cristo in croce. È un bel volto delicato, di una ragazza d’altri tempi, forse anche perché è una foto in bianco e nero, quasi seppiata. Sono le sette e un quarto di sera e la chiesa di San Filippo Neri, in centro a Forlì, è strapiena.
La messa comincia con «Povera voce», un canto bellissimo e struggente: «Tutta la vita chiede l’eternità, non può morire, non può finire».
Rosita è la ragazza di 16 anni che martedì 17 giugno si è uccisa buttandosi dal tetto del suo liceo classico, il Morgagni, che frequentava con la media del 9,25. È la ragazza che prima di gettarsi nel vuoto ha registrato un video di cui si è avuta notizia solo l’altro ieri, un video in cui lei accusa i genitori della sua fine e chiede ai carabinieri di fare giustizia. È la ragazza che non ha avuto nemmeno un funerale, perché babbo e mamma l’hanno voluta far subito cremare e seppellire. Insomma è la ragazza che ha fatto sentire una stretta al cuore, e il freddo nella coscienza, a tutti noi che abbiamo figli.
Adesso finalmente ha almeno una messa, voluta dai suoi compagni di scuola e dai suoi professori. I suoi genitori e il suo fratello diciottenne - che sta per fare la maturità nello stesso liceo - sono qui, seduti in prima fila. Don Enzo Zannoni, l’insegnante di religione di Rosita, li ha fatti entrare dal retro, perché forse non avrebbero avuto abbracci e strette di mano: i genitori sono sotto inchiesta per istigazione al suicidio e maltrattamenti in famiglia. Sono lì, muti, a capo chino, soprattutto il babbo: tiene la testa sempre giù, per un attimo si toglie gli occhiali e si passa le mani sul volto.
Dicono che non esista un dolore più grande della morte di un figlio ma non è vero, un dolore più grande c’è ed è il suicidio di un figlio. E se poi questo figlio prima di togliersi la vita lascia detto che è colpa tua, c’è da chiedersi come si possa sopravvivere, perché perdonare se stessi diventa più difficile che perdonare il prossimo. Ma «chi può giudicare?», dice don Enzo nella predica: «Di fronte a un fatto così misterioso, chi di noi può avere tutti i fattori per giudicare?».
Lei ha anche lasciato nello zaino alcuni biglietti, su uno si legge: «Mia mamma e mio padre mi hanno reso la vita impossibile. Spero che ci sia giustizia per questa mia morte. Spero che i carabinieri facciano un’indagine». La Procura, come si dice, ha aperto un fascicolo, e non poteva fare altrimenti, visti i biglietti e il video. Chi indagherà, sarà in qualche modo egli stesso una vittima di questa tragedia, perché comprendere cosa passa nella mente di chi si uccide, e ancor più comprendere cosa passa in una vita di sguardi, di parole, insomma di rapporti fra genitori e figli, non è impresa che possa essere compiuta da noi poveri umani.
Ci sono tante voci, certo. Ma come distinguere? S’è detto ad esempio che l’ultima crudeltà di due genitori troppo severi sarebbe stata il negare a Rosita il permesso di frequentare il quarto anno di liceo classico in Cina, un’opportunità che lei si era conquistata in un progetto formativo. Ma davvero è stato un «no» definitivo, e non un semplice «no» urlato in un litigio, ma destinato a essere disatteso? Non si sa. Al liceo Morgagni dicono che, per quel che risulta loro, Rosita l’anno prossimo sarebbe andata in Cina, dicono che agli scrutini l’avevano congedata così, e che l’iscrizione per l’anno prossimo non era stata rinnovata.
Chi lo sa. Come chi sa davvero quanto soffocanti siano stati i divieti di questi due genitori forse in guerra con il mondo: niente cellulare e niente Facebook, niente vacanze indipendenti e niente fidanzati. Di certo c’è che Rosita è una vittima: non è stata capita, e forse non è stata amata o almeno non ha potuto percepire di essere amata. Ma chi ha il coraggio di puntare l’indice contro i genitori? Eppure molti lo stanno facendo, forse per rassicurarsi, per pensare che una cosa così può succedere solo a gente pazza o cattiva, mai a genitori come noi.
Sono le nove di sera quando le centinaia di ragazzi e professori partiti in corteo dalla chiesa di San Filippo Neri arrivano in silenzio, con le loro fiaccole accese, nel cortile del liceo, e depongono mazzi di fiori nel punto esatto in cui è caduta Rosita. Da stamane sarà una faccenda di magistrati, i quali vedranno se i genitori devono essere puniti in nome del popolo italiano. Ma quale giudice potrà mai infliggere loro una pena più grande, e più duratura nel tempo, di quella che già soffrono?

Michele Brambilla, La Stampa 27/6/2014