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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

LE REGOLE PER SUPERARE L’AUSTERITY


Giustissimo, che una svolta oltre l’austerità sia espressa in termini chiari. Paradossale, diranno in altri Paesi, che a chiederlo siano gli italiani, la cui fama è di essere intriganti e subdoli. Ma non sarà facile, per nulla. Da anni l’Europa va avanti a forza di intese a bella posta oscure, in modo che ciascun governo possa presentarle ai cittadini in una luce accettabile.
Angela Merkel e altri capi di governo nordici desiderano poter raccontare ai propri elettori che nulla di sostanziale è cambiato nelle regole di bilancio nell’area euro. Matteo Renzi vuole l’opposto. Una novità, dato che fin qui la controparte principale della Germania, la Francia, si era accontentata del permesso di fare eccezione in proprio a regole sulla carta dure per tutti.
Ovverosia, un modo di procedere molto italico – leggi severe sulle quali poi si chiude un occhio in alcuni casi – in Europa risultava finora dalla guida a due franco-tedesca. Quell’assetto si disgrega a causa della crescente debolezza della Francia; ma non si sa ancora come sostituirlo. L’Italia non può prevalere se chiede solo per sé: deve cercare di presentare un progetto per tutti.
Il fronte anti-austerità del resto è diviso: in nome di che rivendicare la svolta? Renzi non ha avuto ancora il tempo di attuare le sue promesse. Il premier spagnolo Mariano Rajoy in tre anni ha realizzato misure dolorose e anche molto controverse, è peraltro un alleato politico dei cristiano-democratici tedeschi. François Hollande guida un Paese già in crisi di rigetto quando l’azione di riforma è appena agli inizi.
Un cambiamento sta maturando, lo si avverte da molti segni. Cominciano a mutare il loro linguaggio anche personaggi simbolo dell’austerità, come il commissario uscente agli Affari monetari Olli Rehn. Non si può evitarlo: la ripresa economica sperata è talmente fioca che quasi non si vede; nemmeno in Germania è esaltante.
Però, se si vuole chiarezza, occorre rendersi conto fino in fondo di quali sono i problemi. Non si può far finta che nel 2010-2011 non sia accaduto nulla, pur se ovunque sono cambiati i governi e nei nostri palazzi non si pratica più il «bunga bunga». I troppi debiti restano pericolosi. Né contrarne in quantità (da ultimo negli anni 2001-2004) ci ha salvati dal declino.
La finanza globale sembra oggi più stabile. Ma proprio la presenza di risparmio in eccesso, facile a spostarsi in cerca di rendimenti più alti, rende necessario spendere bene, essere debitori credibili. L’Italia non ha buona fama; le crepe dell’area euro su cui potrebbero far leva gli speculatori sono state sanate solo in parte.
Finanziare i deficit è tornato possibile, sostengono gli economisti anche bravi promotori del referendum contro il «fiscal compact» europeo; trascurano che non è l’Italia a poterlo fare, e non perché i tedeschi sono razzisti contro i popoli meridionali. Non può, con l’eccesso di debito che si ritrova, frutto di ben noto malgoverno.
Per la ripresa, contro il rischio di deflazione si può, si deve investire di più; ma in progetti comuni sui quali governi e nazioni si controllino a vicenda, non con il ritorno all’arbitrio delle classi politiche nazionali (anche quella tedesca, che – come notava Mario Draghi giorni fa – ha speso moltissimo per salvare le banche, poco per tutto il resto).
Né si può sperare di giostrare a scopo tattico sui no britannici. Se Londra chiede per sue esigenze di annacquare un po’ l’Unione europea, darle retta potrebbe aiutare un suo ulteriore allargamento verso Est; ma nello stesso tempo, l’area euro ha bisogno di stringersi di più, creando o rafforzando istituzioni proprie capaci di accrescere la fiducia tra chi ne fa parte.

Stefano Lepri, La Stampa 27/6/2014