Roberto Procaccini, Libero 27/6/2014, 27 giugno 2014
COMBATTERE LA CRISI CON L’ASTUZIA LE STRATEGIE DEI PICCOLI EDITORI
C’è chi chiude i battenti, chi minaccia di farlo, a chi contano le ore e chi tira avanti. Benvenuti nel mondo dell’editoria indipendente nel settimo anno dall’ inizio della grande crisi. Dove i lettori diminuiscono e quelli che rimangono sono monopolizzati dalle grandi catene della produzione-distribuzione-vendita. «Servono leggi che ci tutelino» dicono in coro i piccoli editori «mentre noi dobbiamo vincere sul piano della qualità. Se no non se ne esce».
Sfida improba. Il Rapporto Nielsen sul mercato editoriale italiano (commissionato dal centro per il Libro e la Lettura ) non lascia spazio a interpretazioni. Tra il 2011 e il 2013 i lettori sono calati dal 49 al 43 % della popolazione, mentre la percentuale di quanti comprano almeno un libro all’anno è scesa dal 44 al 37. Se si aggiunge che il 59 % dei libri venduti nello stesso triennio non supera i 10 euro di costo, il quadro è completo. «Siamo fermi dal 2012, dobbiamo ancora decidere il da farsi». Stefano De Matteis ha fondato L’ancora del Mediterraneo a Napoli nel 1999. Prima che iniziasse la crisi, poteva vantare la pubblicazione di Evangelisti, Fofi e il primo Saviano, tra gli altri. «Ma ora non abbiamo la forza di uscire con un nuovo titolo», confida. Perché? «E’ un investimento incerto: l’acquisto dei diritti costa sui 10mila euro, la traduzione 5mila, altrettanti la stampa di 6mila copie». L’incertezza deriva dal contesto: «I megastore vendono i migliori spazi espositivi a 20mila euro mentre le società di promozione, che non si assumono rischi d’impresa, battono sui dieci autori sui quali credono di fare cassa..». La tentazione di mollare ha colto anche Daniela Di Sora, fondatrice nel 1995 della casa editrice Voland. «Ad aprile stavamo per chiudere, poi ci abbiamo ripensato». Il problema è normativo: «La crisi delle librerie indipendenti soffoca il mercato. Abbiamo bisogno di una legge sull’editoria sul modello di quella francese o tedesca: norme chiare e ineludibili. In Francia le case editrici possono applicare uno sconto massimo del 5%, in Germania dello zero. Qui la legge Levi prescrive che non si possa fare più di un mese di sconti all’anno...». Sul contesto torna De Matteis: «La crisi ha bloccato il mercato esaltando problemi che già c’erano» la sua opinione «ci sono oligopoli, e non solo nel gruppo Berlusconi. La grande distribuzione dipende dalle grande case editrici, che non sono in grado di diversificare le librerie di catena». Sul quadro normativo insiste anche Daniele Di Gennaro, cofondatore di Minimum Fax. Archiviata la bufala dello scorso aprile (che voleva l’imminente chiusura della casa editrice romana), Di Gennaro si spende per le librerie indipendenti: «Hanno un ruolo sociale, ci vuole una legge per loro». Come difenderle? «Con limitazioni sugli sconti che permettano loro di combattere ad armi pari con quelle di catena poi con leggi che le aiutino sul fronte fiscale. Bisogna evitare pure i cartelli».
Si torna agli oligopoli, insomma. «I grandi gruppi si muovono, anche con operazioni a perdere, solo per portare il proprio brand nei musei più prestigiosi», racconta Giuseppe Liverani, fondatore di Charta Art Books, casa editrice oggi in liquidazione, ma arrivata a 2 milioni l’anno di giro d’affari: «Ci sono mostre progettate interamente da privati .Bookshop museali affidati ai grandi editori, che chiedono il 50 per cento sulle vendite agli indipendenti. Cataloghi pubblicati solo per far contento l’assessore che vuole scrivere l’introduzione....». Ma «sSolo la qualità è l’unica arma che paga». «E su quella dell’innovazione» aggiunge Francesco Aliberti « per intercettare le trasformazioni del settore». Dopo aver fondato nel 2001 la Aliberti editore, lo scorso dicembre ha dato vita a Wingsbert House, casa editrice verticale che accoppia vino e libri: «I megastore si stanno aprendo alla ristorazione mentre l’enogastronomia è un’eccellenza italiana. Abbinare i nostri autori alle nostre etichette di vino è un modo per creare nuovi circuiti e il pretesto per fare cultura».