Francesca Nunberg, Il Messaggero 27/6/2014, 27 giugno 2014
«IL MIO STILE FAMIGLIA E HI-TECH»
L’appuntamento per l’intervista si rinvia di un’ora, l’hanno chiamato in questura con urgenza per riconoscere dei capi che potrebbero essere contraffatti.
Vi copiano?
«Moltissimo. Ogni 15 giorni siamo lì: fanno sequestri, fermano i camion alla dogana, è pieno di falsi».
Un segno di notorietà?
«Diciamo così. Con Moncler, Dolce&Gabbana, Armani e Fred Perry siamo tra i marchi più copiati».
In buona compagnia.
«Ci fanno un danno notevole. Economico e d’immagine: quando vedi una maglia indosso a tutti, ti passa la voglia di comprarla. Copiano a gogò giubbotteria, polo e t-shirt, allora noi lavoriamo nella ricerca dei materiali. È una guerra senza confini: sequestrano 200 capi, fanno la multa, e dietro ce ne sono altri tremila pronti. Negli Usa vai in galera e buttano via la chiave, in Italia va cambiata la legge, siamo come la Nazionale...».
Argomento dolente: un tempo i vostri testimonial erano Vieri e Maldini, oggi pescare dal mondo dello sport rende meno e il calcio meglio lasciarlo stare.
«Non è più tempo di testimonial. Se Brad Pitt e Sean Penn indossano un nostro capo, com’è successo, ci fa gioco. Massimo rendimento col minimo sforzo. Ma ora che Blauer e C.P. Company sono diventati marchio, i personaggi non servono e preferiamo sponsorizzare eventi, come Moto GP, oppure i film. Dopo il cinema italiano, pensiamo a quello americano».
Film, quali film? Mentre chiede alla segretaria e lei elenca: “Un matrimonio da favola” di Carlo Vanzina, “Un boss in salotto” di Luca Miniero... lui continua a parlare, a raffica, con l’energia e l’entusiasmo di sempre. Enzo Fusco per molti è il Signor Blauer. La realtà è più complessa, e intreccia sigle e vite: imprenditore e designer, Enzo Fusco è il presidente di FGF Industry (dove la F sta per Fusco, lui e la moglie Silvana; la G per Giuseppe D’Amore, il genero; l’altra F per la figlia Federica), azienda che regna nello sportswear d’autore con i marchi di proprietà C.P. Company e BPD ed è licenzataria di Blauer Usa.
Tutto è nato nel 1998 dalla passione di Fusco per il vintage e lo stile militare, che oggi si traduce in linee sportive per lui e per lei, collezioni bambino, progetti ad alta innovazione tecnologica, tessuti in esclusiva, oltre a piumini e capispalla ci sono gli accessori: giubbotti da moto con caschi, guanti, boots. L’azienda è a Montegalda, nella campagna padovana.
Azienda a gestione familiare e alta tecnologia: come si conciliano?
«Ci siamo divisi i compiti: mia figlia si occupa di marketing e commerciale, mio genero della parte tecnica e della logistica, mia moglie dell’amministrazione. Io adesso faccio il direttore creativo, fashion coordinator mi dicono, ma non riesco a non mettere le mani in pasta, per abitudine...».
Quante ore al giorno lavora?
«Non le conto: sarei ricco se mi pagassero a ore, non ci sono feste né week end. Ora vorrei trovare degli spazi per godermi quello che ho costruito».
Quanti anni ha?
«Ne dico sempre 10 in meno: 58».
Come si fa ad anticipare le tendenze?
«Con questo lavoro acquisti occhio e sensibilità, vedi quello che gli altri non vedono. Dove? Sicuramente sulla strada. Io viaggio tra il Giappone e l’America, vado a Londra, a Parigi. Lo capisci se andrà il cappotto, il piumino o la giacca. I nostri marchi hanno un’identità precisa, non dobbiamo inventare la giacca con tre maniche».
Con chi lavora nella ricerca di nuovi materiali?
«Con Paul Harvey che per 10 anni ha disegnato Stone Island e Alessandro Pungetti, bravo nella maglieria. Siamo i tre moschettieri. E mi ispiro molto alle collezioni storiche».
Si narra di 30mila capi raccolti nel mondo...
«Sono 50mila, c’è di tutto: dal giubbotto militare anni ’40 ai pantaloni introvabili, a tutti i denim possibili. Il capannone è blindato: passo giorni lì dentro cercando ispirazione. Al contrario dei giovani che vivono su internet, i capi ho bisogno di toccarli».
Blauer negli Usa veste la polizia e l’esercito: non avete mai pensato di rivolgervi anche voi alle forze dell’ordine?
«Non ci interessa. Ho preso ispirazione dall’idea del policeman e l’ho trasformata in fashion, con tessuti più morbidi e diverso fit. Anche perché il 45% del nostro prodotto è per la donna».
Il bambino come va?
«Si vende sempre meno, anche Moncler è in crisi. Le mamme non ce la fanno, vanno da Zara o da Oviesse, perché un piumino da 380 euro non se lo può permettere più nessuno. Noi li facciamo waterproof, stiamo tra i 90 e i 120 euro...».
È una questione di qualità?
«C’è chi mette le galline con le oche, non si sa cosa c’è dentro, magari qualcosa di allergico».
Su quali mercati puntate?
«Vendiamo in Europa, da due anni abbiamo avviato Giappone e Corea, andiamo bene sul mercato russo, ma il futuro è l’America. Se lavorassimo solo sull’Italia saremmo in crisi».
La vostra azienda è piena di sigle, da dove viene BPD, Be Proud of this Dress, sii orgoglioso di questo vestito?
«L’ho inventata io, è uno slogan e una filosofia, un piumino leggerissimo che pieghi e metti in tasca, realizzato con materiali tecnici di produzione giapponese. Poi c’è la linea Ten C, li abbiamo chiamati i nuovi vestiti dell’imperatore, collezione uomo e donna senza logo, realizzati in Italia e venduti nel mondo».
E dove si sente a casa, lei che ha radici pugliesi, origini piemontesi e vive in Veneto?
«Sono nato a Torino, l’ho rivista di recente e mi è sembrata bella; ormai sono veneto d’adozione, vivo qui da 30 anni; i miei genitori erano pugliesi, adoro quella cucina, ma adesso mi devo dare una regolata...».
I piaceri della vita?
«Mangiare, bere, fumare un sigaro, e altro che non si può dire».
Il piumino vivrà in eterno?
«È come il denim, non passerà mai di moda. L’anno scorso quelli più fighi mettevano il cappotto, ma il piumino non ha eguali per leggerezza, calore, comodità. Adesso ci sono le ovatte sintetiche, il piumino non va più trapuntato e non ci si sente un omino Michelin. Magari ammazziamo anche meno oche».