Sergio Romano, Corriere della Sera 27/6/2014, 27 giugno 2014
IL DOLLARO E I SUOI NEMICI DA DE GAULLE A PUTIN
Ho letto un articolo di Sergej Glazev, consigliere economico e finanziario di Vladimir Putin apparso recentemente su un settimanale (Argumeny Nedeli, argomenti della settimana). Sostiene che occorre privare il dollaro del potere che ancora esercita
sulla finanza internazionale. Lasciamo da parte il tono vittimistico dell’articolo e l’analisi sospettosa del russo sulle intenzioni americane, ci sono tutta una serie di Paesi, non solo la Russia, che sarebbero ben disposti a ridurre l’uso del dollaro come moneta di scambio internazionale, anche per proteggersi da un eventuale collasso del sistema monetario internazionale. È un argomento a favore dell’euro, mi sembra – o no? Lei che cosa ne pensa?
Frank Rizzo
Roma
Caro Rizzo,
Anchio ho letto l’articolo di Glazev. È convinto che gli Stati Uniti abbiano una complicata strategia anti-russa: sperano che le operazioni militari ucraine contro i ribelli filorussi delle province orientali abbiano l’effetto di provocare un intervento militare di Mosca perché, se questo accadesse, potrebbero adottare pesanti sanzioni contro l’economia della Russia. Una tale politica avrebbe gravi conseguenze per tutta l’economia dell’Europa occidentale e rafforzerebbe l’egemonia americana sul continente. Di fronte a questa minaccia la sola risposta efficace, secondo il consigliere di Putin, sarebbe quella di formare un fronte antidollaro. I Paesi che ne faranno parte dovrebbero sbarazzarsi dei dollari custoditi nelle loro riserve e trattare alla stregua di «junk» (spazzatura) i prodotti finanziari denominati in dollari.
Sulla probabilità che gli Stati Uniti abbiano intenzioni così tortuose e politicamente rischiose, ho molti dubbi. Ma è vero, ad avviso di molti, che gli Stati Uniti hanno fatto del dollaro un uso molto spregiudicato nella convinzione che la loro supremazia politica e militare lo avrebbe sempre preservato, in ultima analisi, dalle sventure che affliggono le altre valute.
Gli argomenti di Glazev non sono fondamentalmente diversi da quelli di cui si serviva un altro consigliere presidenziale. Si chiamava Jacques Rueff ed era molto rispettato negli ambienti liberali della Mont Pelerin Society, l’associazione di cui fecero parte gli italiani Bruno Leoni e Antonio Martino. Cacciato dalla Banca di Francia per le sue origini ebraiche durante il regime di Vichy, Rueff conquistò dopo la guerra la stima del generale de Gaulle e ne divenne, soprattutto durante gli anni Sessanta, il principale consigliere per la riforma del sistema finanziario internazionale. La guerra della Francia contro il dollaro scoppiò agli inizi del 1965 quando la Banca centrale francese cambiò i dollari delle riserve in oro e de Gaulle ne spiegò le ragioni in una conferenza stampa durante la quale sostenne che l’America stava manipolando a suo piacimento il sistema finanziario mondiale e che il suo Paese, da quel momento, avrebbe fatto il possibile per emancipare i suoi scambi commerciali dal monopolio della moneta americana. La fase più critica del dollaro venne qualche anno dopo e non fu dovuta alla «guerra» di de Gaulle, ma alle enormi spese che gli Stati Uniti dovettero sostenere durante quella del Vietnam. Mentre il presidente francese aveva proposto il ritorno all’oro, l’America di Nixon scelse la strada opposta e abolì il tasso di conversione del dollaro in oro che era stato fissato dopo gli accordi di Bretton Woods. Nonostante l’oscillazione del cambio, la moneta americana continuò a essere la valuta di riferimento per gli scambi mondiali. Ma la Comunità europea comprese in quel momento che anche l’Europa doveva avere la propria moneta. Comincia allora la lunga strada verso il sistema monetario europeo e, infine, l’euro. Là dove la Francia aveva fallito, l’Europa, pur non riuscendo a contrastare decisamente il ruolo mondiale del dollaro, avrebbe avuto maggiore successo.