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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

FILIPPO TIMI


Attore? Autore? Scrittore? Regista? Sceneggiatore? Pittore? Costumista? Doppiatore? Ballerino?
Idolo delle femmine? Icona degli omosessuali? Eterosessuale? Gay? Bisex? Pansessuale? Balbuziente? Quasi cieco? Ex atleta? Ex zoppo?
Complessato? Fobico? Ipercinetico? Ipocondriaco? La cosa buffa è che a tutte queste domande si può rispondere sì. E sicuri di non sbagliare.
Stiamo parlando di Filippo Timi. Quarantenne da poco, corre nel mondo dello spettacolo e dell’arte con la velocità di un bambino. Provate a chiedergli: visto che lei è così complicato, mi dica una autodefinizione che facciamo prima. Mica lo fregate. Risponde citando un brano del suo primo libro scritto dieci anni fa. Il libro s’intitola «Tuttalpiù muoio» (Fandango editore). Il brano racconta di un ragazzo — lui — che prendeva l’ecstasy. «Però — ti canzona — quelle pagine non sono mai state pubblicate anche se, in un primo tempo, le avevo scritte. C’era qualcosa di bugiardo. E sa perché? Perché io l’ecstasy non l’ho mai presa. E sa perché? Perché ero troppo povero per comprarla». Sì ma ora è perlomeno benestante.... «Sì, vabbè, ma le droghe, comunque, non mi appartengono. Sa come me li godo i miei soldi? Che ho rifatto i termosifoni e le finestre nella casa dei miei genitori. E il regalo l’ho fatto a me, non a loro. E l’altro regalo l’ho fatto sempre a me: ora vado al supermercato e mi compro la pasta: prendo il primo pacco che trovo costi quel che costi. Prima andavo a comprare la pasta con una lente d’ingrandimento, come quella di Sherlock Holmes, lo sa che io quasi non vedo?, e grazie alla lente scoprivo quella pasta che costava meno».
Mezzo cieco
Ma come fa, un attore, a essere mezzo cieco? A parte che lei ha gli occhi belli e luminosi (si vedono anche al cinematografo!). Timi spiega che s’è inventato un altro modo di guardare il mondo e gli esseri umani. «Vedo non con gli occhi, ma con il cervello. Immagino e costruisco. Magari vedo nella mia testa quello che vedete voi con i vostri occhi».
Ora che fa anche il pittore, qualcosa si capisce: i suoi quadri propongono momenti che sembrano filtrati dalla nebbia milanese che Buzzati raccontava negli anni Sessanta. Il bello è che comunicano un’emozione a dodici diottrie. Timi è anche mezzo balbuziente. Mezzo perché lo è quando parla nella sua vita privata. Zero balbuziente lo è quando recita in teatro o al cinema. Soltanto un vero pazzo può pensare di fare l’attore essendo balbuziente. E di farlo così bene come sa farlo lui. Il Mussolini del film «Vincere» di Marco Bellocchio e il malato di Aids del film «Un castello in Italia» di Valeria Bruni Tedeschi sono due grandi apparizioni, per esempio. C’è una spiegazione a tutto, dice Timi: «Da ragazzo ero un poco sfigato. Facevo le scuole superiori all’istituto d’arte. Moda e costume, design. Mi piacevano ma non sapevo mica bene che cosa fossero. Mi piaceva Dalì. Ho anche dipinto una porta di casa, imitandolo. Poi mi trovo per caso a un’audizione per la compagnia di Giorgio Barberio Corsetti. Mi hanno preso: neanche una lira ma vitto e alloggio pagati. Goduria!». È cominciata così: e adesso Timi può permettersi un Ego gigantesco come quello che ha...
Grande Ego
«Se fai l’attore — dice Timi — non puoi non avere un ego sfrenato. Vedi sullo schermone del cinema la tua faccia in primo piano... senti la tua voce che riempie la sala del teatro in cui tu sei Don Giovanni in mutande ma con addosso un cappotto che pesa trenta chili... Ricevi email di giovani donne che ti dicono: sei “sdraiabile”, oppure: so che hai poco tempo libero ma hai detto che il tempo per l’amore si trova sempre, se vuoi anche io il tempo lo trovo... Ma il mio Ego è così grande che ci sta dentro tutto il mondo che mi circonda. C’è posto per tanti, non soltanto per me».
Per fortuna che poi l’Ego di Timi si smoscia: «Quando esagero penso: chi credi di essere? Tu fai la cacca come tutti gli esseri umani. Sei come gli altri. Sogna pure che un giorno qualcuno con il suo accento americano, al Dolby Theatre di Los Angeles con una statuetta in mano, quella dell’Oscar, dirà di te: the winner is… “Failippi Taimi”. Chi se ne frega se storpiano il mio nome, ma ho vinto l’Oscar. No, Filippo, torna indietro: pensa che fai la cacca come tutti gli altri».
La paura della Morte Nera
Delle femmine abbiamo già detto. C’è un sito gay che ancora oggi pubblica le di lui foto così: in mutandine con un dito che sbuca fuori e che sembra un piccolo pene. «Parliamo di dieci anni fa — spiega l’imperturbabile Filippo — era il mio periodo Rock, anzi Hard Core, facevo un Amleto che cominciava con una Marilyn comica e un Amleto chiuso in una gabbia da leoni. Due fotografe mi proposero di fare quelle foto. Le ho fatte. Ci siamo divertiti tutti, tranne mia mamma. Ma era un gioco». Non era un gioco, ma una vera fobia, invece, quando il sedicenne Timi rinuncia a un possibile sesso perché teme di essere contagiato dall’Aids: si mangia le unghie, si crea microlesioni, il sangue che emette e che può ricevere da un eventuale partner lo terrorizza. Una brava psicologa lo rimetterà (più o meno) a posto nel cervello. E Filippo non avrà più paura della Morte Nera. Ma nel frattempo sono passati anni: «E quante occasioni ho perso....».
E la politica?
Forse è meglio cambiare argomento. E parlare di politica. Timi ha fatto Mussolini al cinema, i libertini in teatro e il papà politicamente corretto nel nuovo film di Mirko Locatelli «I corpi estranei». Chiedergli come la pensa, politicamente appunto, significa aver pazienza: perché subito ti dice, ovviamente: «Non sono succubo di alcuna ideologia». Ma, siccome non riesce trattenere la sua indomabile spontaneità, quasi sbotta come uno dei francesi (poeti matti, scrittori sbiellati) che lui ama tanto: «Sono sinistroide. Ma gli estremisti sbagliano. Come i religiosi integralisti. Di tutte le chiese. Mi piace l’ideologia della tolleranza. Sono nato a Ponte San Giovanni, a quindici chilometri da Assisi. A quindici chilometri da San Francesco. Mi piacciono quelli come lui. A piedi scalzi. Già vivere è un casino. Se riesci a vivere con amore è meglio. E se riesci a vivere a piedi scalzi meglio ancora».