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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

LA SECONDA VITA DI ANNAMARIA, LA DONNA CHE HA DIVISO GLI ITALIANI

Ogni sera la famiglia si radunava intorno a un tavolo di legno che sembrava quello di un convento. Anche le panche sulle quali si sedevano tutti avevano qualcosa di monastico. Non c’erano poltrone, nella grande casa di Monteacuto Vallese. Solo sedie di legno, e panche. Fratelli e sorelle parlavano e scherzavano tra loro.
Quando Annamaria cominciava a parlare, calava il silenzio. Succedeva sempre dopo la cena, consumata a orari d’altra epoca, intorno alle 19. «Avanti» diceva Giorgio, il patriarca. «Raccontaci cosa è successo». Lui annotava tutto, con una calligrafia che tracciava ampi cerchi su un grande bloc notes, batteva il pugno sul tavolo per far tacere il brusìo che si levava nei passaggi più scabrosi di quel supplizio che veniva rivissuto e ripetuto come una lezione da mandare a memoria. I Franzoni sono sempre stati una famiglia unita. L’immagine arcigna e aggressiva che li ha contrassegnati durante gli anni dei processi e della sovraesposizione mediatica non ha sempre reso giustizia a una coesione interna rara, a una capacità di stare insieme che oggi, solo oggi, viene riconosciuta come il punto di forza del suo membro più celebre. «Può contare su un contesto familiare coeso», così il giudice motiva, tra le altre cose, l’accoglimento dell’istanza della madre di Samuele. In questi anni, si legge nell’ordinanza, «la Franzoni ha incontrato regolarmente i familiari, sei colloqui mensili». Il sostegno assicurato dai nonni paterni durante la detenzione della madre viene definito «significativo», mentre quello economico garantito dai genitori di Stefano Lorenzi, il marito, «per supportare sia i bisogni quotidiani della famiglia che i costi della vicenda giudiziaria» risulta invece «decisivo».
Anche la perizia definitiva, scritta dal professor Augusto Balloni, evoca spesso il concetto della famiglia d’origine di Annamaria Franzoni, che rimane pur sempre una donna soggetta a depressione e al rischio di «incontrare difficoltà, frustrazioni, contrasti ambientali e altri avvenimenti che potranno incidere sul suo comportamento». La psicoterapia sarà l’aiuto fondamentale, il resto dovrebbe essere garantito dal «contesto», da una rete familiare considerata «sicura».
La perizia psichiatrica si conclude con una presa d’atto, con la certezza che «lei ce la metterà tutta al fine di guardare avanti per il bene della sua famiglia». A posteriori, sembra il riconoscimento dei valori con i quali Annamaria Franzoni è stata cresciuta, un omaggio a quel «contesto» così scandagliato, così ossessivamente studiato negli anni in cui l’Italia si divideva soltanto a quel che era accaduto la mattina del 30 gennaio 2002 in una villetta alle pendici di Cogne, con Annamaria che diventava la nostra Oj Simpson, capace di dividere e far discutere ancora oggi, con i dubbi sollevati sull’opportunità di far tornare a vivere con i figli una donna condannata per avere ucciso uno dei suoi figli. «Si può sostenere che non vi sia il rischio che si ripeta il figlicidio. Una tale costellazione di eventi non è più riscontrabile». La perizia sostiene la tesi dello psicologo tedesco Kurt Lewin, il fondatore della psicologia sociale, secondo cui il comportamento è funzione sia della persona che dell’ambiente. «Sento il bisogno di tornare in quella casa» è uno dei brani riportati dai suoi colloqui con lo psichiatra. «Non sarà facile, perché è dove Samuele ha vissuto felice e dove è stato ucciso». Il tribunale aderisce alle perizia psichiatrica, ma in ossequio ai principi stabiliti dal professor Balloni si cautela negando alla Franzoni il tanto desiderato ritorno nella casa dove si consumò il delitto, fissando «il divieto di allontanarsi dalla provincia di Bologna e quindi di recarsi in altre zone del territorio nazionale con particolare riferimento a Cogne».
Sembra di sentirlo, Giorgio Franzoni. Il capo, il «gallett» di Monteacuto, soprannome che derivava dal cognome di sua madre, una Gallilei, e dal carattere duro e abrasivo. «La bimba non avrebbe mai dovuto andare lassù a Cogne» ripeteva nei giorni confusi che precedevano l’arresto della figlia, quelli dell’isteria nazionale. Sono stati scritti libri e trattati su questo cordone ombelicale mai reciso, su una figlia che di undici fratelli era quella che più somigliava al padre, e anche per questo forse aveva scelto di andare lontano, lasciando il piccolo regno del patriarca, che da muratore è arrivato a creare un piccolo impero, quattro imprese edili e due agriturismi, con tutta la famiglia che ci lavora dentro.
La morte di Samuele ebbe l’effetto di riportare indietro Annamaria e il marito Stefano in quell’ambiente così protettivo, in qualche modo restituì la «bimba» alla sfera di influenza esercitata e dominata dal padre. Chiara, la madre, ex insegnante, una donna dolce e istruita, ha sempre coltivato l’unità della famiglia. Giorgio, decideva, sempre in buona fede, sempre convinto che la ragione fosse dalla sua parte, anche quando imponeva scelte disastrose come la cacciata dell’avvocato Carlo Federico Grosso, che aveva demolito la prima ordinanza di arresto restituendo la libertà ad Annamaria. «Adesso salveremo il salvabile, la aiuteremo in ogni modo» disse dopo che la sentenza d’appello aveva confermato la condanna di sua figlia. Comunque la si pensi sul loro conto, i Franzoni sono sempre stati gente che mantiene le promesse.