Paolo Lepri, Corriere della Sera 27/6/2014, 27 giugno 2014
VINCE MERKEL (MA NON È PIÙ SOLA AL COMANDO)
È una Germania bipartisan, per amore o per forza, quella che sta uscendo sostanzialmente vittoriosa dalla partita sull’Europa del futuro, giocata con una squadra in cui non è stata solo Angela Merkel a stabilire la tattica migliore. Ogni mossa compiuta, dal dopo elezioni del 25 maggio fino a ieri, è stata infatti frutto di delicati compromessi dai quali emerge con una certa chiarezza, per chi lo avesse dimenticato, che a Berlino regna una grande coalizione.
Tanto nella questione delle nomine quanto in quella del programma per i prossimi cinque anni, ogni passo avanti è maturato nella ricerca di un equilibrio tra posizioni diverse. Forse è esagerato sostenere, come ha fatto Der Spiegel , che si sia indebolito il potere europeo della cancelliera, accresciuto nel passato soprattutto dalla mancanza di rivali in patria. Non va dimenticato invece che il governo di Berlino continua effettivamente a mantenere un ruolo dominante nelle scelte europee e sta ottenendo gran parte di quello che poteva a grandi linee essersi prefissato. Ma la pressione dal campo socialdemocratico si è fatta sentire, anche se ad alcune fughe in avanti hanno fatto poi seguito realistiche rinunce, come quella riguardante la vicepresidenza della Commissione per Martin Schulz. Il vicecancelliere Sigmar Gabriel ha recitato in tutto questo una parte importante, collegandosi con lo schieramento dei nemici dell’austerità a tutti i costi. Non c’è stata, insomma, una donna sola al comando. E si spiegano così anche le aperture sui margini di flessibilità previsti dal patto di Stabilità e crescita.
Certo, Angela Merkel sta riuscendo a far quadrare i conti, indirizzando personalmente i partner europei verso le soluzioni, cosa sicuramente rilevante nella complicata dialettica che unisce o divide i membri del club europeo. Ha incassato un consenso sempre più ampio su una personalità come quella di Jean-Claude Juncker che però non è mai stata la sua preferita. «La cancelliera tedesca è stata spinta ad appoggiare l’ex premier lussemburghese. Non è mai stata entusiasta della sua candidatura», ha osservato la studiosa di politica estera Judy Dempsey, del Carnegie Endowment for International Peace. La scelta del Partito popolare europeo e la campagna «parlamentarista» per avere alla guida della Commissione un uomo indicato dalle forze politiche, legittimando così la sua nomina, ha un po’ spiazzato il suo proverbiale attendismo o la possibile ricerca del momento buono per cambiare cavallo. «Ufficialmente — ha scritto ancora Der Spiegel — Angela Merkel sostiene il politico lussemburghese. Ma quando si tratta di austerità in Europa e di politica di bilancio, Juncker è molto lontano da lei».
Un secondo nodo ancora da sciogliere riguarda il rapporto con la Gran Bretagna. La cancelliera tedesca è ora alla ricerca di un compromesso per «andare incontro» al premier conservatore David Cameron, rimasto isolato nella battaglia senza esclusione di colpi contro il «federalista» Juncker, ma ammette che «non sarebbe un dramma» l’elezione di un presidente della Commissione a maggioranza qualificata «perché lo prevedono i Trattati». Non è certo passato molto tempo, però, dai giorni in cui sottolineava la necessità di trovare un punto di accordo con Londra per evitare uno strappo doloroso che avrebbe messo a rischio perfino la stessa presenza britannica nell’Unione. Poi si è resa conto che un lungo scontro sulla nomina del successore di José Manuel Barroso avrebbe messo a rischio la tenuta di istituzioni europee già scosse dall’avanzata elettorale del populismo. Ora la responsabilità di evitare le conseguenze di una rottura con Londra non può che ricadere sulle sue spalle.