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 2014  giugno 27 Venerdì calendario

LAURA DI LOTTA E DI CAMERA [INTERVISTA A LAURA BOLDRINI]

LAURA DI LOTTA E DI CAMERA [INTERVISTA A LAURA BOLDRINI] –

Questa volta come ce l’ha fatta?
«Nel mio modo tipico: lavorando. Pochi giorni dopo la morte di mia madre, nel febbraio 2011, ero a Lampedusa e gli sbarchi dei tunisini erano continui. Lì ho capito che l’unico modo per dare un senso anche a questo mio lutto era quello di restituire le mie energie a chi stava male».
Immagino che lei sia cattolica.
«Sì, e ho avuto una lunga formazione religiosa. Frequentavo la parrocchia e ogni sera alle 7 recitavo il rosario in latino con mio padre. Ho fatto anche tutto il percorso da scout, la coccinella e la guida».
Ecco una cosa che l’avvicina a Renzi. Finora non glielo ho chiesto, ma vista questa formazione comune, lo faccio ora: che cosa pensa di lui?
«Non lo conosco abbastanza, lo vedo soltanto nelle cerimonie ufficiali e mi sembra una persona molto energetica. In questo senso muove un po’ la palude e quindi fa un effetto positivo».
E negli altri sensi?
«Beh, ci sono cose che ha lasciato un po’ indietro, spero provvisoriamente. Per esempio, non ci sono ancora figure di riferimento per le pari opportunità e per l’integrazione. Apprezzo la sua velocità, ma spero che la fretta gli consenta di essere inclusivo e quindi di ottenere il meglio per tutti».
Ora Renzi ha promesso che proporrà le unioni civili. Pensa che sarà così?
«Lo spero. Per chi conosce tanti altri Paesi, la situazione italiana in questo campo è non solo immobile e retrograda, ma anche paradossale perché la società è molto più avanti della politica. Ormai le coppie di fatto, etero ed omosessuali, si vanno organizzando da sole magari con l’aiuto di notai».
L’ha fatto anche lei?
«Si riferisce al fatto che ho un compagno con cui convivo? Io sono divorziata da tempo e potrei sposarmi quando voglio. Però non ci abbiamo mai pensato. Magari lo facciamo, chi lo sa!».
Non mi dica che la frena il fatto che il suo compagno è molto più giovane di lei?
«Non glielo dico, perché ho difficoltà a pensare che oggi qualcuno possa ancora stupirsi che una donna stia con un uomo più giovane quando il mondo è pieno di uomini che si mettono con ragazze che potrebbero essere loro nipoti. Il problema è che c’è ancora questo pregiudizio sessista, purtroppo alimentato anche dalle donne che restano timorose del giudizio altrui».
Lei ha una figlia ormai adulta. Si chiede mai che madre è stata?
«Una madre piena di magoni e di conflitti interiori, e anche di qualche pianto in solitudine. Anastasia è in assoluto la persona più importante della mia vita, ma non ho abdicato per lei al mio ruolo di persona e di donna che lavora. Quando la lasciavo per andare in Tagikistan, in Afghanistan o in Kosovo con difficoltà di comunicazione perché non sempre si trovavano i satellitari, le spiegavo i motivi delle mie assenze e lei mi faceva il valigino per donare i suoi vestitini ai bambini del luogo. Oggi ha ventun anni, studia politica in Inghilterra e sta per partire per uno stage in Africa. È una donna consapevole che ha capito quelle mie scelte. Sento che adesso è proprio dalla mia parte».
Non posso lasciarla senza averle chiesto qualcosa su questo cimitero di migranti che sono diventati i nostri mari. Non le sembra che mentre crescono i morti cresce l’indifferenza intorno a loro?
«Sì, c’è un grande cinismo da parte dell’opinione pubblica. Io ho passato anni in mezzo a queste situazioni di disperazione a lottare contro l’indifferenza, come se queste vite non fossero vite. Ma purtroppo l’operazione Mare Nostrum, certamente meritoria, cura gli effetti, non il male. Noi non facciamo niente per risolvere il problema alla radice.
Lei ha una ricetta?
«Quella del Mediterraneo è ormai una migrazione tutta di rifugiati. Non è una questione facile, ma il punto sta nel dare un’alternativa alle persone perché non prendano quei gommoni della morte. Dobbiamo fare in modo che nei Paesi di transito ci sia un sistema per fare domanda d’asilo e poi destinare i rifugiati che hanno i titoli nei vari Paesi. È un processo che è in atto già da tempo, ma sa dove cade?».
Dove?
«Nella disponibilità dei Paesi di accoglienza. Lo scorso anno 70 mila persone sono state trasferite così. Ma sono finite tutte in Canada, negli Usa e in Australia. L’Europa dei ventotto ha offerto 4.400 posti. L’Italia 4 di numero. Sembra incredibile, eh? Quella che manca è la volontà politica».
Una politica che lei non sembra intenzionata a lasciare tanto presto. Come e dove si vede domani?
«Domani è un altro giorno, come ha detto qualcuno prima di me. Ma tendo a non dimenticare che mi sono dimessa dopo 25 anni dalle Nazioni Unite per impegnarmi a favore del mio Paese». n
Laura Boldrini indossa i panni di presidente della Camera con un entusiasmo che non si è mitigato da quando, 15 mesi fa, è stata eletta a sorpresa al più alto scranno di Montecitorio, appena un giorno dopo il suo esordio come deputata nelle file di Sel. Giovane per questo ruolo, bella come è richiesto oggi a una donna che fa politica, già dotata di un’aura di solennità per il suo lavoro di portavoce dell’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu, era apparsa la più adatta a contenere il crescente malanimo anticasta in Parlamento e nel Paese. E il suo appassionato discorso di insediamento l’aveva confermata "donna di guerra e di frontiera" come lei stessa ama definirsi. Ma nell’anno in cui tutto è cambiato, anche gli umori non sono più gli stessi e la neo presidente ha dovuto scontare con uno stillicidio di polemiche qualche errore di inesperienza, mentre montavano le intemperanze dei deputati 5Stelle e il web la colpiva con insulti violenti a sfondo sessuale. Tanto che un recente weekend con il suo staff in un agriturismo umbro in compagnia di Gad Lerner, Elena Montecchi e Massimo Recalcati, è stato subito interpretato come un tentativo di ricostruirsi un appeal politico.
È così, presidente Boldrini? Un giornalista, un politico e uno psicoanalista all’opera per rafforzare la sua immagine?
«La mia immagine è l’ultima delle mie preoccupazioni. Quello che ho fatto si chiama retreat ed è normale in ogni organismo istituzionale che si rispetti. Si va in un luogo che agevoli il raccoglimento e si chiamano delle figure esterne a fare da facilitator su vari temi. Ridicolizzare questa buona pratica, come è avvenuto, vuol dire voler fraintendere il senso di questo appuntamento».
Il suo retreat è almeno andato a buon fine?
«Abbiamo fatto il bilancio su un anno di presidenza, e senza tanti complimenti. Se ci sono cose che non vanno, voglio che mi si dica. Così come intendo rafforzare gli aspetti positivi. È il sistema più utile per riparare gli errori e prepararsi a nuove sfide».
Pensa quindi di aver commesso degli errori?
«Qualcuno è inevitabile. Credo però che sia anche un errore pensare che potessi accettare questo ruolo e non interpretarlo a modo mio».
Qual è il modo suo?
«Diciamo: energico. Io non sono una donna mansueta, ho una storia che parla per me. Non sono arrivata qui per militanza di partito né per parentele. Sono il risultato di una maturazione politica che richiedeva una figura portatrice di valori innovativi. Chi ha pensato che potessi essere la muta vestale di un’istituzione, dia un’occhiata a quello che sto facendo qui dentro: riforma del Regolamento, campagne di ascolto, semplificazione, trasparenza, rimozione di segreti, presenza della Camera sui maggiori social network...».
Si è mai chiesta perché i deputati 5Stelle se la prendono tanto con lei? Anche Pietro Grasso tiene con polso il Senato, ma è quasi bene accetto.
«Vorrei sapere anch’io quale molla li ha portati a decidere che sono una figura da abbattere. Li ho contrastati con fermezza quando era necessario. E loro lo sanno».
Non sarà perché è donna, e pure bella?
«Non mi sento bella, anche se so di avere un aspetto gradevole. E comunque riterrei offensivo per loro pensare che mi attacchino per questo. Ma è certo che si perdona molto poco a una donna che rappresenta lo Stato. Anche in questo ambiente i pregiudizi sono duri a morire: se un uomo batte il pugno sul tavolo, è uno di carattere; se lo fa una donna, è un’isterica. Per non parlare del mare di violenza che si può scatenare nel web».
Già, anche per questo lei vive blindata. È stato difficile cambiare abitudini?
«Abbastanza. Io facevo molto sport e non posso più andare in palestra, nuotavo e non posso più andare in piscina perché bisognerebbe farle prima evacuare. Si figuri se posso permettere questo. I giornali che mi dipingono come una capricciosa che si fa aumentare la scorta, non sanno di che cosa parlano».
Se oggi si guarda indietro, sa trovare il filo che l’ha portata fino a questa postazione prestigiosa?
«È facile: il mio impegno sui diritti. Vendola mi chiamò mentre ero in Grecia, in un ambulatorio di Medici nel mondo e assistevo a una scena raccapricciante: un giovane migrante africano pestato a sangue e tumefatto che piangeva mentre gli altri gli dicevano: "Smettila, se sei un nero è normale essere ammazzati di botte, a tutti noi è successo". Quando Vendola mi spiegò che mi voleva in lista per il mio impegno contro il razzismo e le discriminazioni, capii che non potevo rifiutare. Amavo il mio lavoro, ma era giunto il momento di far qualcosa da un’altra angolazione».
Andiamo ancora più indietro. Che cosa l’ha portata a questo impegno per i diritti dei più deboli?
«Forse il fatto che sono la prima di cinque figli e quindi mi sono trovata a gestire i loro conflitti, cercando di applicare qualche criterio di giustizia. Forse il fatto che sono cresciuta in campagna, ho studiato in una scuola rurale e, anche se la mia famiglia era benestante, ho visto da vicino le disuguaglianze. Ma forse, più di tutto, il fatto che a un certo punto si scoprì che il mio fratello più piccolo era autistico».
Come ha reagito?
«Mi vidi sottrarre ogni attenzione mentre ero una bambina anch’io. Il mio modo di farcela fu di rendermi utile e di aiutare mia madre che aveva lasciato il suo lavoro di insegnante e affogava dietro di lui, mentre mio padre gli consacrava ogni momento libero. Ho dedicato a questo fratellino una parte del mio discorso di insediamento, quando ho parlato del mondo inesplorato di chi non riesce a esprimersi e del nostro dovere di ascoltare quelle voci lì e vedere quegli sguardi lì. Ma lui non sa ascoltare e forse nessuno ha capito».
Nessuno poteva capire, ma erano comunque parole condivisibili. Dov’è ora suo fratello?
«Vive nella nostra casa, aiutato in tutto e protetto da noi fratelli, come volevano i nostri genitori che ci avevano fatto promettere di non lasciarlo mai solo. Se ne sono andati con questo dolore addosso tre anni fa a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, seguiti anche da mia sorella Lucia».