Emiliano Fittipaldi, L’Espresso 27/6/2014, 27 giugno 2014
IOR CONTRO IOR
La prima prova della carità nel prete, e soprattutto nel vescovo, è la povertà», ragionava Victor Hugo ne "I Miserabili", anno domini 1862. Chissà che avrebbe detto lo scrittore francese che scudisciava il clero ricco e avido, se avesse potuto sbirciare nei conti segreti dello Ior di oggi. Chissà cosa penserebbe di fronte ai buchi milionari della finanza vaticana e agli strani affari immobiliari della banca di Dio in mezzo mondo, da Budapest agli Stati Uniti. Analizzando alcune carte riservate finite sulla scrivania di papa Francesco, "L’Espresso" ha scoperto che Oltretevere non tutto sta filando liscio come la propaganda bergogliana vorrebbe far credere. La lotta alla corruzione e ai crimini finanziari è senza quartiere, ma dietro le mura leonine è scoppiata una nuova guerra per il controllo del tesoro vaticano. Che ha come protagonisti, oltre a porporati americani e cardinali italiani l’un contro l’altro armati, avvocati siciliani, banchieri francesi e business men con qualche conflitto d’interessi che hanno preso di mira i miliardi in pancia agli enti finanziari, Ior e Apsa su tutti.
STERCO DEL DIAVOLO
Il tempo di "Vatileaks" è alle spalle. Mentre il proscenio è occupato da Francesco e dalla sua maestrìa comunicativa, la partita per il denaro si torna a giocare - come vuole la secolare tradizione - dietro le quinte. È difficile schematizzare in poche righe quali sono le fazioni in campo. È un fatto, però, che gli italiani siano stati tagliati fuori dai nuovi organismi che gestiranno i soldi, ossia dall’Aif (l’Autorità di informazione finanziaria), dalla commissione cardinalizia dello Ior, e soprattutto dalla neonata Segreteria per l’Economia (sorta di superministero delle Finanze guidato dal cardinale australiano George Pell) e dal Consiglio dell’Economia, potente organo di indirizzo e vigilanza guidato dal cardinale tedesco Reinhard Marx.
Dopo aver fatto a pezzi la vecchia catena di controllo legata al cardinale Tarcisio Bertone (usciti il direttore dello Ior Paolo Cipriani e il suo vice Massimo Tulli, entrambi indagati dai pm di Roma per violazione delle norme anti-riciclaggio, l’unico che ha ancora voce in capitolo sul patrimonio è il prefetto degli Affari economici Giuseppe Versaldi), sembra che gli uomini vicini a Bergoglio abbiano deciso di dare il benservito anche al presidente dello Ior, il tedesco Ernst von Freyberg. La cui poltrona scotta, tanto che i bene informati sussuirrano che entro poche settimane verrà sostituito.
Il banchiere è stato chiamato a Roma qualche giorno prima dell’elezione del nuovo pontefice e da poco più di un anno sta lavorando assieme alla società di consulenza americana Promontory per riformare l’istituto. Bergoglio ha chiesto di chiudere i conti dei laici - circa 1400 tra cui una ventina di politici alcuni dei quali, risulta a "L’Espresso", hanno già spostato i soldi in una banca tedesca - e individuare le operazioni sospette, in modo da trasformare l’istituto in un tempio della trasparenza e far entrare il Vaticano nei paesi della "white list" dell’Ocse.
Anche se il papa non ha mai voluto incontrarlo di persona, von Freyberg ha tentato di rispettare i suoi comandamenti. Per far bella figura sui giornali ha pure assunto due consulenti in forze alla società Cnc di Monaco, che da qualche mese hanno il compito di curare la sua immagine. Se dalla stampa von Freyberg è trattato con i guanti, in Vaticano la sua posizione traballa: a inizio giugno il prelato del papa allo Ior, monsignor Battista Ricca (di cui il Papa si fida ciecamente e che ha voluto accanto a sé senza dare alcun peso ai dossier che un anno fa giravano su di lui) gli ha infatti spedito una dura lettera di contestazioni. Von Freyberg non avrebbe dato a Ricca, dunque a Francesco, tutti i dettagli del prestito da 15 milioni di euro che nel 2011 lo Ior concesse alla Lux Vide di Ettore Bernabei.
Non solo. Il tedesco avrebbe gestito male la coda di un’operazione immobiliare a Budapest: il Vaticano qualche anno fa ha comprato da un private equity, un fondo proprietario dell’ex palazzo della Borsa, un grande immobile al centro della capitale ungherese che - secondo il progetto iniziale - doveva essere ristrutturato per realizzare mini appartamenti da vendere sul mercato. Secondo Promontory l’operazione è stata economicamente sballata, tanto che nel prossimo bilancio della banca, oltre ai 15 milioni del bond della Lux Vide che gli americani considerano un favore di Bertone al produttore di "Don Matteo", potrebbe essere svalutato anche il valore della speculazione sulle rive del Danubio.
VATICANO IN ROSSO
Ma ci sono altri titoli in capo allo Ior che Promontory ha messo nel suo mirino. Si tratta di investimenti da decine di milioni di euro effettuati negli scorsi anni per acquistare fondi finanziari e immobili (soprattutto negli Stati Uniti) che, secondo la società di consulenza, nasconderebbero operazioni inesistenti per riciclare denaro. «Si tratta di 130 milioni totali che, secondo Promontory, esistono solo sulla carta. Non è così, è un attacco politico, abbiamo comprato titoli che danno rendite e palazzi di mattone e cemento armato», ragiona un dirigente della banca, preoccupato che gli utili quest’anno possano crollare rispetto agli 86 milioni di euro registrati dodici mesi fa.
Di certo, nella lettera Ricca ha contestato al numero uno dello Ior anche i risultati di gestione dell’asset management, che non sarebbero affatto soddisfacenti. Von Freyberg infine, non si sarebbe mosso con la dovuta riservatezza: il banchiere, dopo aver licenziato due alti dirigenti, avrebbe spiegato agli impiegati che sarebbe stato lo stesso Ricca a imporgli il siluramento dei due collaboratori. «Difficile che sia stato il prelato a scrivere di suo pugno la lettera di contestazioni», chiosano dallo Ior: così dura e ben scritta che qualche malpensante ci vede la penna e i consigli del californiano Jeffrey Lena, il legale che dal 2000 difende la Santa Sede in cause delicate come quelle sugli abusi sessuali dei preti pedofili su migliaia di minori. E che con Ricca ha ottimi rapporti.
«Che cos’è rapinare una banca in confronto al fondarla?», diceva Bertolt Brecht nell’ "Opera da tre soldi". Forse se lo è chiesto anche Francesco, quando qualche mese fa lo Ior è prima finito nella polvere in seguito allo scandalo di monsignor Nunzio Scarano, poi quando ha dovuto ripianare il buco provocato da speculazioni spericolate della diocesi di Terni con un prestito da 12 milioni di euro. Ma c’è un altra questione che preoccupa il Santo Padre: in un documento riservato che "l’Espresso" ha visionato si parla infatti di un maxi buco «da 800 milioni di euro nel fondo pensioni dei dipendenti del Vaticano». Una voragine che si è ampliata a dismisura nell’ultimo lustro, in concomitanza con la crisi finanziaria internazionale. Per mettere i conti in sicurezza gli esperti del papa chiedono che il Vaticano versi nel fondo 100 milioni cash, e che i lavoratori laici vadano in pensione più tardi, a 68 anni. Bisognerebbe, spiega la nota, anche «incrementare i contributi dei dipendenti al 9 per cento del salario lordo», misura dalle quale verrebbero escluse solo le guardie svizzere. La manovra consentirebbe di ridurre il deficit, dice il documento, «di circa 110 milioni».
OPERAZIONE "AD MAIORA"
C’è dell’altro. Un carteggio riservato, finito a Santa Marta, svela l’operazione "Ad Maiora", dal nome di uno dei fondi con cui il Vaticano, attraverso lo Ior, è arrivato a investire fino a 230 milioni di euro. Un’iniziativa «proposta dal direttore Cipriani», si legge, «e approvata nell’aprile 2012 dal consiglio di sovrintendenza per allocare una parte del capitale nel settore della finanza etica e degli investimenti alternativi». L’operazione prevedeva la costituzione e la sottoscrizione da parte dello Ior di fondi d’investimento esteri (in Lussemburgo e a Malta) «sotto la guida di una società di consulenza nel campo dell’investimento etico, l’Ecpi di Milano». Una srl fondata da alcuni professori della Bocconi (come Michele Calcaterra e Francesco Silva) e partecipato anche da una società inglese, la Blue Capital di Londra.
Il documento degli esperti che hanno spulciato le scelte del vecchio management prende di mira le clausole del contratto con la milanese Ecpi che prevede impegni a investire di importo rilevante, l’impossibilità di uscire dai fondi senza un preavviso molto lungo e commissioni alte. Già, in 14 mesi la consulenza della società meneghina è costata la bellezza di 1,4 milioni di euro, in pratica 100 mila euro al mese. Mentre «per il fondo "Ad Maiora" le consulenze pagate e presumibilmente da pagare ammontano a 3,5 milioni di euro»: alla fine la schiera di consulenti potrebbero arrivare a incassare oltre 10 milioni di euro. «C’è un elevato rischio», conclude il documento, «di adire le vie legali per ottenere la chiusura dei fondi e di subire azioni legali da parte della Ecpi: il contratto prevede una durata illimitata e comunque non inferiore a cinque anni, ed è stato bloccato dallo Ior dopo soli 14 mesi». Il professor Calcaterra, da Milano, ammette i rapporti con lo Ior, e replica: «Le nostre commissioni sono in linea con il mercato, e sono state esplicitate nel 2012 davanti al cda dell’istituto. Escludo, inoltre, che ci saranno strascichi giudiziari con il Vaticano».
ARRIVANO GLI YUPPIES!
C’è da credergli: lo sanno in pochi, ma i professori della Bocconi hanno da tempo rapporti strettissimi con la finanza bianca. Se attraverso la Fondazione Finetica hanno cominciato a collaborare con la Pontificia Università del Laterano nel lontano 1997, Ecpi è stata anche socia di Mittel, la merchant bank rilanciata da Giovanni Bazoli e presieduta da qualche anno da Franco Dalla Sega. Lo stesso manager di Ecpi Francesco Silva ha lavorato in Mittel. Proprio Dalla Sega due mesi fa è stato chiamato a Roma dal cardinale australiano Pell, capo della nuova Segreteria dell’Economia, come superconsulente dell’Apsa: dopo l’uscita di Paolo Mennini sarà il numero uno di Mittel a dover trasformare l’ente in una sorta di banca centrale. E sarà sempre lui, nell’immediato futuro, a gestire l’enorme patrimonio finanziario dell’Apsa.
Anche lo Ior verrà riformato completamente. Ma Francesco, che inizialmente sembrava volesse chiuderlo tout court, ha invece spiegato - attraverso un comunicato ufficiale della Santa Sede - che la banca resterà in vita, aiuterà le missioni e «continuerà a fornire servizi finanziari alla Chiesa cattolica in tutto il mondo». Il patrimonio gestito dalla banca è cospicuo, oltre 7 miliardi di euro nel 2012, e l’asset management fa gola a molti.
Dietro le mosse di Promontory e di Ricca, secondo alcuni cardinali vicini a Bertone e al cardinale Angelo Sodano (due fazioni da sempre contrapposte che la rivoluzione in corso ha incredibilmente riavvicinato) ci sarebbero così non solo il clero statunitense che ha contribuito in modo decisivo all’elezione di Bergoglio, ma anche alcuni finanzieri stranieri. Capeggiati dal maltese Joseph Zahra e dal francese Jean Battiste de Franssu: insieme a Dalla Sega, saranno loro a consigliare al papa i business migliori su cui scommettere. Entrambi già membri della Cosea dal luglio del 2013 (la commissione referente per gli affari economici è stata sciolta qualche giorno fa dopo aver consegnato le conclusioni del loro rapporto), sono tra i sette membri laici del nuovo Consiglio dell’Economia che - insieme a otto ecclesiastici - avranno il compito di indirizzare le scelte economiche vaticane.
Qualcuno, però, storce il naso. Gli italiani parlano di gravi rischi di conflitti di interessi. E, soprattutto, di un potere eccessivo consegnato nelle mani della lobby che gira intorno a Misco Malta, la società di consulenza finanziaria fondata da Zahra, che del Consiglio è vice coordinatore. Se su Internet c’è ancora traccia di quando de Franssu era manager della controllata Misco Directors Network (ora il profilo del francese non compare più sul sito ufficiale), l’unico componente italiano chiamato in Consiglio è Francesco Vermiglio. Un avvocato di Messina che è stato nel cda della Banca di Malta quando Zahra ne era direttore, è che nel 2011 ha creato con l’amico finanziere la Misco Advisory Ltd, una joint venture tra lo studio Vermiglio e il gruppo maltese con cui si spera di portare capitali italiani sull’isola considerata fino al 2010 un paradiso fiscale. A Messina i Vermiglio sono molto conosciuti: il fratello di Francesco, Carlo, è vice presidente del Consiglio nazionale forense, e il suo nome è finito spesso sui giornali locali per presunti rapporti con la massoneria. «Verissimo. Io mi onoro di essere stato iscritto alla loggia "La Ragione" fino al 1988, poi mi sono messo in sonno, come si dice in gergo massonico, e non l’ho mai più frequentata. Mio fratello? Non è mai stato iscritto».
De Franssu è anche ad della società Incipit, e manager della Tages Capital Group del finanziere italiano Panfilo Tarantelli. «Sapete dove lavora il figlio di De Franssu, Luis Victor, dallo scorso marzo? Sarà una coincidenza, ma è stato assunto da Promontory», sospirano allo Ior, dove i dipendenti sperano che i nuovi arrivati siano davvero gli uomini giusti per realizzare la rivoluzione etica voluta Bergoglio.