Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 27 Venerdì calendario

TORTURATO UN RIFUGIATO SU TRE

Un dramma nascosto accom­pagna un rifugiato su tre ac­colto in Italia. Sono le torture e le violenze estreme scolpite nel corpo e nella psiche. Su circa 15.000 perso­ne cui l’Italia ha accettato la doman­da di protezione nel 2013, si stima che almeno 5.000 abbiano subito gravi a­busi durante il viaggio dalle gang di trafficanti o dai persecutori nel Paese di origine. Lo testimoniano gli africa­ni passati dall’inferno libico o i siriani. E lo confermano le statistiche dira­mate ieri in un convegno organizzato dal Consiglio italiano per i rifugiati a Roma per la giornata internazionale per le vittime di tortura, secondo le quali il 30% dei rifugiati ha provato e­sperienze di tortura e violenza estre­ma. Sono forse di più, come ha ricor­dato Romano Prodi: «Distinguere un profugo da un migrante economico è sempre più difficile, in molte città e vil­laggi africani la gente ha solo l’alter­nativa tra morire di fame o migrare».

Il Belpaese non ha ancora introdotto il reato di tortura nel Codice penale. Ieri il ministro degli Esteri Mogherini ha sollecitato al Parlamento l’appro­vazione definitiva del disegno di leg­ge licenziato il 5 marzo dal Senato. Al­tra lacuna è la mancata riapertura di una rete nazionale all’avanguardia nella cura e riabilitazione dei tortura­ti, il Nirast, eccellenza europea. Due anni e mezzo fa la Regione Lazio non rifinanziò l’ambulatorio dell’ospeda­le San Giovanni sostenuto da Cir e Ac­nur e diretto dallo psichiatra Massimo Germani. Dal 2002 era capofila del network di 10 ambulatori che ha avu­to riconoscimenti nazionali e inter­nazionali. Il centro romano ha assisti­to e offerto terapie a oltre 1.200 rifugiati da tutto il mondo con gravi patologie. La chiusura avvenne in barba alla di­rettiva europea sugli standard minimi di accoglienza dei richiedenti asilo, re­cepita dall’Italia e che raccomanda la tutela delle persone che hanno subi­to torture, stupri o forme gravi di vio­lenza psicofisica. «I disturbi post-traumatici complessi – spiega Germani – presentano note­voli difficoltà diagnostiche, possono a volte non essere riconosciuti o scam­biati per schizofrenia o psicosi croni­che. In mancanza di una precoce dia­gnosi e di una terapia specifica ten­dono a peggiorare. Se non si intervie­ne, i costi umani e sociali sono eleva­ti ». Perciò gli specialisti del Nirast a marzo hanno presentato a Copena­ghen uno strumento innovativo per l’identificazione precoce delle vittime, l’Etsi. Ma l’ambulatorio romano resta chiuso.

Tuttavia la Regione pare averci ri­pensato. Rodolfo Lena, presidente della commissione Politiche sociali e salute del Consiglio regionale ha de­finito «grave» la persistente chiusura parlando di «atto privo di qualsiasi motivazione sia dal punto di vista delle esigenze di budget, sia da quel­lo sanitario. Il costo dell’ambulatorio è minimo, visto che il personale è in carico all’Azienda ospedaliera e i lo­cali sono all’interno dell’ospedale Britannico».

Restano le perplessità della burocra­zia perché esistono altri centri ospe­dalieri per immigrati e rifugiati. «Ma – ribatte Germani – la necessità di un centro specialistico in un territorio va­sto come Roma è testimoniata dal continuo incremento dell’afflusso. Ne­gli ultimi anni era cresciuto, fino a rad­doppiare nel 2011 rispetto al 2010, con un aumento di invii da altre strutture di casi gravi o ritenuti intrattabili». Re­sta da percorrere l’ultimo miglio per riaprire il centro dopo 30 mesi. Sareb­be una risposta importante a soffe­renze in crescita, come gli sbarchi.