Gloria Mattioni, D - la Repubblica 21/6/2014, 21 giugno 2014
MARK CONTRO LARRY
I maligni insinuano che ci sia una mappa del risiko nell’ufficio di Mark Zuckerberg, così come in quello di Larry Page, rispettivamente numeri uno di Facebook e Google (Page in coppia con l’altro socio fondatore, Sergey Brin, ma personalmente a cavallo dell’onda delle acquisizioni). «In fondo», scherza Danah Boyd, di Microsoft Research, «sono entrambi esponenti di generazioni cresciute a Nutella e videogame». E la capacità di mantenere un atteggiamento ludico anche quando si manovrano miliardi, nella Silicon Valley è considerato un grosso vantaggio.
«È come a poker. La mossa vincente è guidata da azzardo e intuizione in parti uguali», commenta Peter Sealy, ex direttore del marketing di Coca Cola e Columbia Pictures, consulente di Facebook dai tempi del suo lancio. «Entrambi questi “juggernaut” hanno cambiato rotta, sono usciti dal sentiero tracciato da Steve Jobs e camminano con le proprie gambe. Jobs pensava che le acquisizioni fossero la mossa di ripiego che indicava incapacità d’innovare in proprio. I trenta-quarantenni di oggi hanno ben chiaro un altro principio: quando domini un settore per dieci anni, è ora di muoversi in altre direzioni».
Dotati di ego, orgoglio e mezzi quasi illimitati, oltre che di azzardo e intuizione, i due grossi calibri hanno spiegato la mappa dell’epica battaglia e cominciato a piantare bandierine: una per ogni nuova compagnia acquistata. Google, che ha sempre dominato il campo della “search”, ovvero tutto ciò che comincia con una parola scritta su un motore di ricerca, sembrava inizialmente più interessato a robot, intelligenza artificiale e home connection, gadget per connettere a Internet diversi apparecchi domestici. Facebook, da tempo leader nel campo dello “share”, ovvero la condivisione istantanea di testi, immagini, musica da un telefono cellulare grazie alla tecnologia mobile, aveva invece concentrato forze e capitali nell’acquisizione di applicazioni utili a rinforzare questo primato, come Whatsapp, usata per mandare e ricevere mssaggi da più di 500 milioni di persone, soprattutto in Europa.
Ma negli ultimi mesi qualcosa è cambiato e il confronto fra le due superpotenze si è fatto più teso e diretto, da quando entrambe si sono impegnate a scommettere sulle stesse tecnologie.
«Si tratta di saper prevedere i trend dei prossimi dieci anni. La posta in gioco è mantenere un ruolo di apripista», spiega Paul Saffo, direttore operativo della società di ricerca Discern Analytics. «Bisogna saper correre rischi e a volte anche prendere cantonate, com’è successo a Google con Motorola Mobile», comprata e rivenduta in 22 mesi rimettendoci una decina di miliardi. «L’intuizione dietro a quell’acquisizione era comunque giusta, perché lo smartphone rappresenta oggi quello che il personal computer ha rappresentato negli scorsi 10 anni».
Se si scende in campo nella battaglia delle acquisizioni, essere veloci e aggressivi conta di più che colpire il bersaglio a ogni tiro. L’esempio di Microsoft e Oracle, grandi giocatori della scena tech degli anni 90 ma sbalzati di sella perché troppo esitanti, ha dimostrato come sia difficile tenersi a galla nei momenti di grande transizione.
Un atteggiamento conservatore può diventare l’anticamera del crollo. «Essere visionari in un simile scenario è fondamentale», ha ribadito Larry Page a una conferenza TED un paio di mesi fa. «Le compagnie tradizionali si muovono con la stessa logica di cinquant’ani fa, puntando alla crescita delle quantità. Ma non è ciò di cui abbiamo bisogno. Soprattutto nella tecnologia, abbiamo bisogno di cambiamenti rivoluzionari, non di incrementare l’esistente».
Tanto gli oracoli di Facebook che quelli di Google prevedono che la battaglia del futuro prossimo si giocherà soprattutto su due campi. Prima di tutto, quello identificato come “vision”, che utilizzerà la realtà aumentata o virtuale per l’istruzione, la medicina o la finanza, riscattandola dall’uso solo d’intrattenimento via playstation o Xbox. È una mossa che potrebbe aiutare a recuperare terreno con le fasce d’età più basse: non è un mistero che la presenza dei 13-17enni su Facebook sia calata di tre milioni in tre anni. E non è un mistero nemmeno che Zuckerberg, parlando al New School Venture Fund a metà maggio, abbia detto di voler sfidare il divieto della Federal Trade Commission e aprire Facebook anche agli under 13.
L’acquisto di Oculus da parte di Facebook per due miliardi e di Titan da parte di Google per una cifra non dichiarata pubblicamente sono pietre miliari in entrambe le direzioni.
La leggenda vuole che Zuckerberg abbia visitato la sede di Oculus in California e provato il Rift, il “casco” computerizzato che consente a chi lo indossa di operare in un mondo virtuale a 360 gradi. Ne è rimasto impressionato, vedendoci potenzialità assai migliori del Glass sviluppato da Google circa un anno prima. E si è lanciato in quello che alcuni potrebbero giudicare un acquisto impulsivo: «Nonostante questa tecnologia debba essere ancora perfezionata», si è giustificato Zuckerberg, «l’idea di poter ricercare il contatto con gli occhi dell’interlocutore durante il contatto virtuale rende Oculus una piattaforma applicabile a molte altre esperienze, per esempio sedere in una classe virtuale con studenti e insegnanti di tutto il mondo o consultare un dottore da casa propria indossando la cuffia. Con Rift stiamo facendo una scommessa a lungo termine, convinti che la realtà virtuale, o più propriamente l’immersive augmented reality, diventerà parte dell’esperienza quotidiana di miliardi di persone, anche quelle per nulla interessate ai videogame. Ci potranno volere cinque o dieci anni, ma non c’è dubbio che accadrà».
Un’ottima scommessa secondo Saffo: «Facebook finora è un’esperienza unidimensionale. Se grazie a Rift potesse diventare tridimensionale, le ripercussioni sarebbero enormi». Ma Zuckerberg intende andare anche più in là: «Se riusciamo a sviluppare un modello abbastanza economico e facile da usare e avere una diffusione di massa, possiamo anche sperare che si espanda il mercato delle applicazioni per utilizzare l’augmented reality».
La legge di Moore, che prevede un salto esponenziale nelle nuove tecnologie, è dalla parte di Zuckerberg. L’altra partita che vede impegnati entrambi gli sfidanti si svolgerà nel cielo: l’obiettivo è portare Internet anche in quei paesi dove finora non esiste, utilizzando per il segnale droni che volano ad alta quota, satelliti o persino mongolfiere (iniziativa che nel caso di Facebook si chiama “Internet.org” e coinvolge un’alleanza con Nokia, Ercisson e Samsung, mentre Google ne ha una simile intitolata “Project Loon”). La sfida ha visto vincitore Google, almeno in questi “parziali” di metà anno, con l’acquisizione di Titan Aerospace, startup che sta sviluppando una tecnologia per produrre aeroplani alimentati a energia solare, che dovrebbero volare a quasi 20mila metri d’altezza per cinque anni, senza intervento umano né bisogno di atterrare. Alla fine di una danza di corteggiamento di mesi da parte dei due colossi, Facebook ha mollato il colpo optando per comprare, come ha annunciato Zuckerberg con un post, un’altra ditta che fabbrica droni, l’inglese Ascenta. La gara continua.