Paolo Mastrolilli, La Stampa 26/6/2014, 26 giugno 2014
MA È LA SALDATURA FRA AL QAEDA E ISIS A SPAVENTARE GLI USA
Al confine tra Iraq e Siria, i terroristi dell’Isis stringono un patto con quelli del fronte Al Nusra più legato ad al Qaeda. L’Iran intanto rifornisce di armi e droni il governo di Baghdad, ricreando l’asse con Assad per difendere stavolta il premier sciita al Maliki. Tutti sviluppi che pensano, nella valutazione degli Stati Uniti per l’intervento militare.
Al Qaeda finora aveva preso le distanze dall’Isis, considerato un gruppo troppo feroce e senza una strategia. Secondo il Syrian observatory for human rights, però, un comandante egiziano di Al Nursa e uno ceceno dell’Isis si sono stretti la mano al valico di confine, dove nella parte siriana c’è il villaggio di Albu Kamal, e in quella irachena c’è al Qaim. Questo ancora non significa che Al Zawahiri sia pronto a stringere un’alleanza completa per costruire insieme il califfato, ma rappresenta un elemento di allarme. La fusione fra al Qaeda e l’Isis infatti formerebbe una struttura molto forte, che secondo un rapporto presentato ai parlamentari americani dal Congressional research service ha l’obiettivo ultimo di usare lo «stato islamico» come base per organizzare nuovi attentati sul suolo americano.
Nello stesso tempo il «New York Times» rivela che l’Iran ha consegnato droni al governo di Al Maliki, e ogni giorno manda a Baghdad due voli con 70 tonnellate di rifornimenti militari e civili. L’operazione è gestita dal generale Qassim Suleimani, capo della Quds force, cioè le forze speciali che sarebbero già in Iraq. Se a ciò si aggiungono i bombardamenti lanciati dai caccia siriani sulle postazioni di Isis lungo il confine, in pratica si ricostituisce a Baghdad l’asse che finora ha difeso il regime di Damasco. La differenza è che stavolta gli interessi degli Stati Uniti coincidono con quelli di questo blocco sciita, almeno per fermare l’Isis, creando non poco imbarazzo a Washington.
I primi consiglieri americani sono arrivati in Iraq, e stanno valutando se l’esercito locale è in grado di resistere ad una eventuale avanzata dei terroristi verso Baghdad. Finora la linea è stata che gli Usa sono pronti a lanciare raid, se venissero minacciati gli interessi nazionali degli Stati Uniti: in altre parole, se Isis puntasse su Baghdad. Se però la situazione restasse quella di stallo, Washington è riluttante a intervenire, perché non pensa che qualche bomba basti a mutare le cose in maniera permanente, e non vuole essere associata a una delle parti, come aviazione delle milizie sciite. L’obiettivo sarebbe quello di favorire un governo più inclusivo, che possa motivare l’esercito regolare a ricacciare indietro i terroristi. Ma la resistenza del premier Maliki a un esecutivo di unità nazionale, e il ravvicinamento fra l’Isis e Al Qaeda, potrebbero cambiare i calcoli degli Usa.
Paolo Mastrolilli, La Stampa 26/6/2014