Alessio Schiesari e Leonardo Vilei, Il Fatto Quotidiano 26/6/2014, 26 giugno 2014
FURBETTI A STRASBURGO PENSIONE INTEGRATIVA NEL PARADISO FISCALE
Tassazione ai minimi, opacità e sede in Lussemburgo. Non stiamo parlando dell’ennesima multinazionale che aggira legalmente il fisco, ma del fondo pensione complementare dei parlamentari europei. Dal 1994 al 2009, eurodeputati di tutte le formazioni politiche e nazionalità hanno aderito a un piano pensionistico legale, ma assai discutibile. Nella lista (tenuta segreta per anni, ma rivelata dal giornalista tedesco Hans-Martin Tillack e da successive inchieste giornalistiche riprese da Open Europe), ci sono anche molti italiani: dal leader radicale Marco Pannella a quello leghista Umberto Bossi, passando per l’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini e il segretario di Rifondazione Comunista Fausto Bertinotti. Nonostante il fondo volontario nasca nel 1989 su iniziativa di alcuni europarlamentari e dal 2009 i nuovi eurodeputati non possano più aderirvi, in questi giorni è tornato di attualità in Spagna, dove sta provocando un terremoto politico nella sinistra radicale. Questo perché tra privilegi insensati, investimenti scellerati e buchi di bilancio, il fondo continua a creare danni. Pur trattandosi di uno strumento volontario, i contributi che fino al 2009 lo alimentavano erano pagati per i due terzi dal Parlamento europeo e solo per il restante 33 per cento dagli eurodeputati. Inoltre, il trattamento percepito era ed è troppo generoso , tanto che, stando a quanto scritto da tutta la stampa britannica, ha creato un buco di 233 milioni di euro nel bilancio dell’Europarlamento che verrà tappato attingendo al bilancio comunitario. La gestione avviene attraverso una Sicav, sigla dietro cui spesso si celano capitali in cerca di alti rendimenti e poche tasse. Anche l’impiego delle riserve desta qualche perplessità: secondo il think tank inglese Open Europe, 131 milioni di euro sono andati in fumo perché investiti in strumenti finanziari proposti dal broker-truffatore Bernard Madoff. Buco che dovrebbe essere ripianato dalla Ue.
Martedì scorso, lo scandalo è riscoppiato in Spagna grazie al quotidiano indipendente Info-Libre, e ha già provocato dimissioni eccellenti. Il partito più colpito è la formazione di sinistra radicale Izquierda Unida, nel cui programma elettorale figurava l’abolizione delle Sicav. Il suo leader in Europa, Willy Meyer, aveva però aderito al fondo dieci anni fa. Dopo avere provato a giustificarsi spiegando di “non essersi reso conto delle sue implicazioni”, è stato costretto dalla base a rassegnare le proprie dimissioni. L’imbarazzo maggiore è però del Partito Socialista, già orfano della sua cupola, dimessasi all’indomani delle elezioni del 25 maggio, e coinvolto in questo nuovo scandalo a partire dalla sua capolista alle europee, Elena Valenciano. La sua ritrosia è controbilanciata dal Partito Popolare, che in una nota ha dichiarato , apertamente, che così fan tutti.
Così facevano in tanti anche in Italia: ben 50 eurodeputati su 78 (il dato si riferisce alla legislatura terminata nel 2009, l’unica per cui è disponibile la lista completa). Il fondo pensionistico integrativo con zero tasse e finanziato dall’Europarlamento faceva gola a molti: tra gli altri, il forzista Jas Gawronsky, l’ex finiana (oggi Ncd) Roberta Angelilli, il leader no global Vittorio Agnoletto, i leghisti Mario Borghezio e Francesco Speroni, Nello Musumeci de La Destra, Marco Rizzo dei Comunisti Italiani, Pier Antonio Panzeri del Pd, la leader verde Monica Frassoni, l’ex ministro in quota Cl Mario Mauro e perfino il radicale Marco Cappato. Contattati per spiegare perché abbiano aderito al piano, ognuno si giustifica come può. Borghezio ci mette un po’ a capire: “Intende la pensione normale?”, poi quando mette a fuoco il problema ammette di avere fatto “un’interrogazione o forse delle dichiarazioni contro quel fondo, ma quando ho aderito non sapevo di cosa si trattasse”. La Angelilli non si sente chiamata in cause perché “ancora non percepisco la pensione, chissà cosa succede tra quindici anni”. Agnoletto chiede mezz’ora di tempo per verificare i documenti e poi stacca il telefono, mentre Cappato spiega che “dopo l’eurodeputato ho fatto il volontario per tre anni senza percepire una lira”, poi promette una battaglia “per riformare questo meccanismo che non conoscevo” ma, quando gli si fa notare che basterebbe lasciare individualmente il fondo contrattacca: “Quello serve solo a fare bella figura”. Bruxelles, in un comunicato, giustifica l’affiliazione del fondo in Lussemburgo in quanto lì ha sede legale la Segreteria Generale dell’Europarlamento. Le prestazioni ottenute devono essere poi dichiarate nei Paesi d’origine e sottoposte al regime fiscale corrispondente, una volta ritirato il succulento premio pensionistico, al compimento del 63 anni di età. Le Sicav, Società di investimento a capitale variabile, sono strumenti di gestione di patrimoni e risparmi introdotti anche in Italia dal decreto legislativo 84/1992, come attuazione di una direttiva europea, su imitazione di prodotti finanziari già esistenti proprio in Lussemburgo, campione di sotterfugi per chi è alla ricerca di molta discrezionalità e scarsa imposizione. Al di là delle precisazioni di Bruxelles resta il fatto che nel Granducato questi prodotti versano solo lo 0,01% annuale sul valore netto degli attivi, oltre ad essere esenti da ogni imposta societaria.
Alessio Schiesari e Leonardo Vilei, Il Fatto Quotidiano 26/6/2014