Ettore Livini, la Repubblica 26/6/2014, 26 giugno 2014
SVIZZERA ASSALTO AI CAVEAU
LUGANO.
Addio Lugano bella, la festa è finita. Il caveau dove Gianstefano Frigerio nascondeva oltreconfine le mazzette dell’Expo, i presunti magheggi elvetici di Giancarlo Galan con i soldi del Mose e le “ragazze” – alias i conti cifrati sul Ceresio – di Giovanni Berneschi (ex numero uno Carige), sono gli ultimi colpi di coda di un mondo che non ci sarà più. Europa e America hanno alzato il tiro sui 2mila miliardi di euro parcheggiati dagli stranieri nelle banche rossocrociate. E Berna ha alzato bandiera bianca: il segreto bancario - l’ombrello sotto cui oligarchi, emiri, dittatori, trafficanti d’armi ed evasori di tutti i continenti hanno nascosto i loro sudati risparmi – salterà nel 2017. Il conto alla rovescia, mille giorni passano velocemente, è iniziato. E il cerino, in attesa del D-Day, è rimasto in mano alle migliaia di nostri compatrioti che nell’ultimo mezzo secolo hanno accumulato una fortuna, si dice fino a 150 miliardi, nelle casseforti della Confederazione.
«L’era del “nero” italiano nascosto in Svizzera è finita», certifica tranchant l’exprocuratore capo di Lugano Paolo Bernasconi. Tra tre anni gli 007 del fisco del Belpaese potranno chiedere e ottenere senza troppe difficoltà gli estratti conto “made in Italy” dalle banche elvetiche. E i protagonisti della grande fuga (di capitali) – terrorizzati all’idea della glasnost rossocrociata – non sanno bene che pesci pigliare. La prima mossa è stata correre sul luogo del delitto per capire come muoversi. «Qui da noi è scattata da mesi l’operazione fuggifuggi dei soldi tricolori», testimonia il magistrato di Pizza Connection. Piovono le richieste di appuntamenti a legali e consulenti (“nel nostro studio è un pellegrinaggio”). Alla fine però tutti si devono arrendere alla realtà: riportare i soldi in Italia – o provare a trasferirli nei pochi paradisi fiscali sfuggito ai Cerberi dell’Ocse – rischia oggi di essere più complicato delle peripezie passate a suo tempo per trasferirli in Canton Ticino.
Il percorso è a ostacoli: le banche elvetiche, reinventatesi obtorto collo vestali dell’anti-riciclaggio, fanno resistenza al saldo dei conti in contanti. Le tariffe degli spalloni si sono moltiplicate per cinque. E il governo italiano sta mettendo a punto un decreto per il rimpatrio volontario che – allo stato – non pare proprio un tappeto rosso ai “migranti” fiscali di ritorno. Risultato: ai margini dei circuiti tradizionali della paludata finanza elvetica ha cominciato a muoversi un «sottobosco di apprendisti stregoni – copyright di Bernasconi – che ti propongono di spostare i soldi in Israele, spallonarli in Bulgaria o parcheggiarli alle Seychelles». Con il rischio concreto «di mettere a repentaglio tutto il patrimonio solo per evitare una tassa».
Un incubo. Come quello vissuto da tale Carlo – il cognome è elveticamente sbianchettato nei documenti – professore universitario di oncologia, descritto nero su bianco in una recentissima sentenza del Tribunale di Lugano. Qualche tempo fa, sentendo puzza di bruciato, il medico si è presentato allo sportello della sua banca (pure lei anonima) chiedendo di chiudere il conto – il saldo ammontava a 827.059 euro – e di essere liquidato in contanti. Risposta: «No». Il motivo? La necessità – recita la sentenza – di tracciare la transazione con un bonifico per «la legislazione contro il riciclaggio di denaro sporco». Parole che fino a ieri – in un paese dove l’evasione è solo reato amministrativo – sarebbero suonate come una bestemmia. Poco importa che i soldi fossero il frutto dell’eredità della madre e dei proventi – pare tassati alla fonte – dell’attività di ricerca scientifica. Il terrore di rappresaglie Ocse è troppo alto. E Carlo ha dovuto rivolgersi a un legale per ottenere i suoi soldi.
Non tutti possono permettersi un avvocato. O i tempi della giustizia. In quel caso si fa di necessità virtù, tentando la via del rimpatrio fai-da-te. «Decine di clienti mi hanno lasciato i loro bancomat per prelievi giornalieri di piccole somme – racconta dietro ovvio anonimato il titolare di una delle mille finanziarie sulla riva del Ceresio –. Appena si raggiunge una cifra accettabile, li si trasporta, 100mila euro alla volta, attraverso i valichi di frontiera». A Brogeda confermano il fenomeno: «Il mondo si è capovolto – racconta il finanziere di servizio –. Una volta il nero viaggiava dall’Italia alla Svizzera. Oggi va in direzione opposta». Uno stillicidio goccia a goccia a botte di mazzette di banconote da 500 euro: «Qualche giorno fa abbiamo trovato 61.785 euro sotto il tappetino di un auto - ridono in Dogana -. Poco prima 74mila nascosti nel bagagliaio e nel seggiolino del bambino e 25mila infilati nella tasca della giacca del guidatore». Il tariffario degli spalloni, visto il boom di domanda e sequestri, è schizzato alle stelle. «Prima bastava pagare l’1-2% e il gioco era fatto – calcola Bernasconi – ora siamo al 5% che lievita al 7% se le rimesse partono da paradisi più lontani della Svizzera».
Panico? Franco Citterio, direttore dell’Associazione delle banche ticinesi, getta acqua sul fuoco: «L’addio al segreto bancario è un segno della nostra volontà di seguire i trend internazionali – dice –. Stiamo governano la transizione. I conti cifrati mancheranno a chi è venuto qui per frodare il fisco. Ma tanti italiani hanno scelto la Svizzera per la professionalità e i servizi delle nostre banche». La prova? «Due terzi dei capitali “legalizzati” con gli ultimi scudi fiscali (un tesoretto di quasi 140 miliardi, ndr.) sono rimasti legalmente qui”.
Il “Rischiatutto” degli spalloni e la fuga verso altri paradisi («i più gettonati sono Panama e i Paesi del Golfo») sono una scorciatoia seguita per ora da una minoranza. I più attendono con il fiato sospeso i provvedimenti con cui il governo fisserà i paletti per il rimpatrio volontario prima del 2017. «Serve una soluzione realistica – dice Citterio –. pensare di ricostruire otto anni di storia di ogni singolo conto corrente è un lavoro impossibile. Meglio puntare a un’auto-denuncia semplice e forfettaria. E poi tassarla. A noi un’aliquota del 15% pare una soluzione sensata. A quel punto consiglieremmo a tutti il rientro». A patto, ovvio, che la legge non lasci aperte le porte a iniziative penali. «Così hanno fatto Germania, Austria, Portogallo e Francia. Basta copiare», ammette pure Bernasconi.
Si vedrà. L’addio al segreto, comunque, è un altro dei sintomi di una Svizzera che – accerchiata sul fronte della fiscalità – prova a cambiar pelle senza snaturare il suo appeal finanziario. Poche settimane fa Yahoo ha annunciato il trasferimento del quartier generale dalla Confederazione all’Irlanda. Per Berna è stato un elettrochoc. «È un segno. Dobbiamo rivedere in qualche modo il nostro sistema di imposte per reggere la concorrenza », è l’allarme di Frank Marty, l’esperto di fisco di EconomieSuisse, la Confindustria Elvetica. Il referendum sui tetti ai compensi dei manager e quello sui limiti all’immigrazione hanno allarmato diverse multinazionali. «Stiamo correndo ai ripari», promette Adrian Hug, numero uno dell’amministrazione federale delle entrate.
Qualcosa in effetti si è già mosso: le agevolazioni agli stranieri residenti nei cantoni a bassissima tassazione (ne beneficiano circa 5.500 persone, da Sergio Marchionne a Kimi Raikkonen) sono state ridotte. Le aliquote sulle holding saranno avvicinate a quelle dell’industria. «Non siamo solo il paese del cioccolato e delle banche – dice Citterio –. Dobbiamo pensare anche a industria e servizi».
È una rivoluzione (al netto del panico dei risparmiatori italiani) di velluto. E che anche per Bernasconi «non lascerà morti e feriti». Yahoo se n’è andata. Gli evasori tricolori e i loro miliardi apriranno un buco nei conti delle banche. Ma morto un Papa, la grande finanza in questo è maestra, si fa presto a trovarne altri. «Pessimista? Tutt’altro – chiude l’ex-Procuratore di Lugano –. Le ricchezze dei Brics stanno arrivando tutte qui. Come i soldi degli emiri. E i fondi sovrani, cinesi compresi, hanno scelto Berna e Zurigo come snodo dei loro affari». A cambiare, più che la Svizzera, è la mappa delle ricchezze globali. Tramonta l’Italia, salgono Pechino, India e Brasile. Ma il centro di gravità, segreto o non segreto, restano sempre i silenziosi caveau delle banche rossocrociate.
Ettore Livini, la Repubblica 26/6/2014