Beda Romano, Il Sole 24 Ore 26/6/2014, 26 giugno 2014
QUANDO A SFORARE FU BERLINO
BRUXELLES.
La crisi dell’economia europea e il successo dei partiti più radicali stanno inducendo i Ventotto a negoziare un nuovo possibile equilibrio nell’uso del Patto di Stabilità e di Crescita. Disciplina di bilancio, ma con pragmatismo. Il tentativo non è nuovo: in questi 15 anni, da quando il Patto ha visto la luce nel 1997, l’applicazione delle regole è cambiata notevolmente: il trattato è stato al tempo stesso allentato sul fronte degli obiettivi e inasprito sul versante dei controlli.
Alla vigilia del vertice europeo di oggi e domani, i Ventotto hanno già annunciato che il Patto dovrà essere applicato «utilizzando pienamente tutti gli spazi di flessibilità già inseriti nel trattato», come si legge in un breve rapporto preparato dal presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy. A quanto risulta, la diplomazia italiana vuole che in questa nota «si caratterizzi meglio il concetto di flessibilità», anche perché l’economia è cambiata radicalmente da quando il Patto è stato scritto.
Le diverse ottiche che emergono dai programmi dei gruppi socialista e popolare a Strasburgo rendono difficile qualsiasi previsione su quanto il governo Renzi riuscirà a strappare. Peraltro, l’applicazione del Patto è già stata rivista più volte. «Si possono violentare le leggi senza che queste gridino», notava Talleyrand. In questi anni l’establishment politico europeo è stato chiamato a un difficile equilibrio, tra la necessità di preservare le regole e l’urgenza di applicare le norme con intelligenza.
Già in un articolo del 1998 nella Oxford Review of Economic Policy, Marco Buti, Daniele Franco e Hedwig Ongena misero l’accento sulla sfida di conciliare disciplina e flessibilità. Non c’è dubbio che il Patto sia diventato più flessibile da quando nel 2003 l’Ecofin scelse di non punire la Germania e la Francia, colpevoli di avere un disavanzo superiore al 3,0% del Pil. Secondo Philippe Delivet, autore di "Les politiques de l’Union européenne", quella scelta «mise in causa la credibilità stessa del Patto».
Due anni dopo, nel 2005, l’Ecofin decise di formalizzare in qualche modo la decisione controversa, indicando che nel monitorare i conti pubblici, la Commissione europea avrebbe guardato soprattutto al deficit strutturale, al netto del ciclo economico e di misure una tantum, piuttosto che a quello nominale. Fu un cambiamento notevole, che in un contesto di recessione aprì la porta probabilmente a nuovi sforamenti del tetto del deficit e nei fatti a un rinvio sine die del pareggio di bilancio in molti Paesi.
Nuova flessibilità è emersa anche nel 2012, in piena crisi debitoria, quando Parigi e Madrid ricevettero più tempo per ridurre il deficit, purché in cambio presentassero un piano di riforme economiche. La scelta fu approvata da tutti, ma in Germania ex post non piacque perché i governi non rispettarono le promesse. Nei fatti, anche all’Italia è stato un concesso un periodo di grazia: quest’anno, nonostante i molti dubbi sui conti italiani, Bruxelles non ha chiesto una manovra di aggiustamento.
Al tempo stesso, sempre la stessa crisi debitoria ha indotto l’establishment politico europeo a inasprire il controllo del centro sulla periferia per rispondere a una crisi provocata anche da politiche nazionali non coerenti con la partecipazione del singolo Paese a una unione monetaria. Nel contempo, furono introdotte regole più esplicite sulla necessità di ridurre il debito pubblico, di un ventesimo all’anno, a meno che fattori rilevanti suggeriscano altrimenti.
I bracci preventivo e correttivo del Patto di Stabilità sono stati resi più stringenti. Sanzioni sono ora più automatiche di prima. È nato il Semestre Europeo che prevede la presentazione da parte degli stati membri di un piano di stabilità e di un programma di riforme, nuove raccomandazioni della Commissione europea, fatte proprie successivamente dai governi. In questo contesto, il dibattito di questi giorni sul futuro del Patto è segnato da differenze culturali, economie divergenti e interessi diversi.
Mentre a Berlino le regole non fanno paura, anzi servono a raggiungere obiettivi prefissati, a Roma sono ritenute costrizioni pericolose. Entro fine anno, è stato deciso che le ultime riforme del Patto - il six-pack e il two-pack - saranno oggetto di un check-up. Nel chiedere nuovi spazi di manovra, i governi dovranno ricordare che formalizzare la flessibilità già applicata o già esistente rischia di comportare la nascita di nuove regole, proprio ciò che molti probabilmente vogliono evitare.
Beda Romano, Il Sole 24 Ore 26/6/2014