Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore 26/6/2014, 26 giugno 2014
LA SFIDA GLOBALE PIÙ FORTE DEI CAMPANILI
Non mancano ancora elementi di criticità per arrivare alla chiusura degli accordi fra Alitalia e Etihad, in particolare il debito e gli esuberi, ma la comunicazione delle due compagnie di ieri costituisce un passo avanti importante e forse definitivo su quella strada.
Per Alitalia l’accordo sembra quello giusto per il rilancio, con i nuovi capitali arabi che si tradurranno in investimenti in flotta e una forte volontà di riposizionamento strategico sul lungo raggio che era mancata in passato. È però giusto chiedersi – oltre l’orizzonte strettamente aziendale – se l’accordo favorisca, come sostiene il governo, un rilancio e un riordino complessivo del sistema italiano dei trasporti. Se cioè l’accordo Alitalia-Etihad abbia in sé anche un effetto-Paese positivo.
In linea teorica la risposta è sì. La compagnia araba ha avuto il merito di porre con forza – e pretendendo risposte chiare – questioni di ordine sistemico che in Italia languivano da anni fra spinte vere al riformismo e la palude politica che tutto frena, alimentata da una burocrazia onnipotente e un campanilismo che fa sì che in Italia ci siano oggi oltre 50 aeroporti «nazionali». Etihad ha chiesto scelte chiare di investimento sull’hub di Fiumicino, sul rapporto tra Linate e Malpensa, ha posto il grande tema dei collegamenti ferroviari ad alta velocità fra le città e gli scali aeroportuali, ha chiaramente detto che non ha futuro una compagnia ritratta su un mercato nazionale dove ormai possono vivere bene, adattandosi con grande capacità a livelli infrastrutturali poveri, soltanto le compagnie low cost.
Il piano nazionale degli aeroporti poneva già tutte queste questioni vitali per il trasporto aereo in Italia, oltre a quello di una riduzione della frammentazione aeroportuale. Il documento preliminare, lungimirante, riformista, puntuale, fu presentato nel 2010.
Ci sono voluti quasi quattro anni per avere un primo timido assenso del Consiglio dei ministri, lo scorso gennaio, su proposta del ministro Lupi. Quattro anni della solita burocrazia, della solita palude politica che in Italia inghiotte anche le iniziative riformiste che a parole sono condivise dai più (salvo toccare ovviamente l’aeroporto sotto casa).
Lo sbarco degli arabi in Italia produce quindi il paradossale effetto di resuscitare e accelerare il piano nazionale degli aeroporti e, forse più in generale, una politica per il trasporto in Italia. Allo stesso modo ha posto, infatti, il tema della sinergia fra ferrovie e trasporto aereo (altra indecente carenza italiana che non ha uguali in nessun Paese europeo). E quello di un adeguamento delle capacità tecniche per realizzare ciò che abbiamo programmato: per esempio negli aeroporti, dove i progetti sono sottoposti al solito sbarramento di fuoco di autorizzazioni (spesso solo burocratiche) di ogni tipo.
L’accordo Alitalia-Etihad può dare un contributo forte, quindi, a smuovere l’anchilosato sistema trasportistico italiano. Ma la risposta teorica non basta. Perché nel momento stesso in cui si chiuderà l’accordo fra le due compagnie aeree, si aprirà la sfida di sistema e di governo per far sì che queste possibilità di accelerazione si traducano in realtà.
A quel punto il «grande progetto industriale per il Paese», se c’è davvero, dovrà uscire allo scoperto: dovrà smettere gli abiti del progetto e diventare realtà. Non solo il Piano nazionale degli aeroporti andrà approvato subito, con tutte le conseguenze che questo comporterà in termini di razionalizzazione del sistema a livello locale, ma bisognerà garantire ai concessionari aeroportuali un sistema di regole per realizzare investimenti, appalti, progetti in tempi certi. E gli stessi gestori aeroportuali, poco abituati a investire in grandi progetti infrastrutturali, dovranno attrezzarsi per farlo al meglio e per correre (come ha cominciato a fare Adr con la fusione con Atlantia). Sarà il momento in cui, inseriti di nuovo in un orizzonte di competitività mondiale, tutti questi soggetti, pubblici e privati, non potranno più accettare le ridicole regole autarchiche che ci hanno fatto perdere almeno venti anni di tempo rispetto ai nostri concorrenti.
Giorgio Santilli, Il Sole 24 Ore 26/6/2014