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 2014  giugno 13 Venerdì calendario

VIAGGIO NELLE VENE DELL’AMERICA

«Siete abbastanza uomini per il Frac-attack? Ecco tutto ciò che potete desiderare in un massiccio trionfo di hamburger! Due sandwich al formaggio grigliato, due fette di manzo macinato, cipolle caramellate, chili, crema ai peperoni rossi, funghi, pancetta, patate fritte guarnite con salsa di cipolle fritte croccanti. Il tutto a 24 dollari e 99. Finitelo in meno di mezz’ora per potervi vantare con gli amici e per aver diritto a una maglietta gratis con la scritta Frac-attack!». Questo non è un Paese per vegetariani. Questo è un Paese dove già ordinare un salmone fa dubitare seriamente della vostra virilità. Questo è Williston, Nord Dakota, solo un pugno di gradi meno freddo dell’Alaska (quando ai primi dell’800 gli esploratori Lewis e Clark fecero la prima traversata degli Stati uniti, nella loro tappa locale mangiarono per giorni cinque chili di carne a testa per scaldarsi). Dove è sepolto Toro seduto. Dove ballare con il cappello in testa è ancora considerato un reato contro il pubblico decoro. Dove si colloca l’epicentro della più grande rivoluzione energetica da un secolo a questa parte. La capitale della fratturazione idraulica, o fracking, una tecnica che insufflando acqua nel terreno fa uscire petrolio (o gas) come mai prima. E che ha trasformato uno Stato remoto e rurale, famoso per Salem Sue, una vacca pleistocenica da sei tonnellate, nel maggior produttore di greggio dopo il Texas. Welcome to boomtown, benvenuti nella città del boom, avverte un cartello. E non esagera. Il menu che ci regala questo squarcio antropologico è quello di Big Willie’s, un popolare grill tra l’aeroporto e uno dei vari hotel riconvertiti a residence. L’ora di punta per la cena è tra le sei e le nove. «Svegliatevi presto, lavorate duro, trovate il petrolio» era la formula del successo secondo il magnate Paul Getty. Qui la mettono in pratica, ogni santo giorno. Uomini enormi, ventripotenti (deve essere la birra, raro svago), con t-shirt che sfidano il freddo polare e berretti da baseball che non si levano mai. Le uniche donne sono le cameriere, e un paio di clienti su un totale di un centinaio. Più otto maxi schermi sintonizzati su pallacanestro, hockey su ghiaccio e baseball. Il tipo che mi ha consigliato questo posto è un ragazzone dell’Arizona, che lavora sui pozzi. Mi ha visto uscire dall’aeroporto a piedi e mi ha dato un passaggio su un van gigantesco, marca Gmc, con il pianale alto più di un metro da terra. «Qui è fantastico» dice, e con pollice nazionale dei soldi, «fantastico». A casa non aveva un lavoro, ora guadagna in media 1500 dollari alla settimana, che aumentano con gli straordinari. Ha un ascesso che gli gonfia il labbro, ma non ha tempo di farsi vedere da un medico. Per sei mesi ha dormito dentro questo mostro a quattro ruote, tenendo acceso il motore per non morire assiderato. Lo fanno in molti. Perché gli affitti sono andati alle stelle, e ora sono i più proibitivi della nazione secondo una classifica di Apartment Guide che dà un bilocale sui 2400 dollari, contro i 1500 di New York. E questa non è una destinazione di piacere, ma una tappa all’inferno per meritarsi il paradiso. Lavorare un’ottantina di ore alla settimana per mettere da parte qualche centinaia di migliaia di dollari in pochi anni e aprire la propria attività altrove. O, se hai già una certa età, magari spiaggiarti placido in qualche insenatura latinoamericana, sole gratis e Margarita a un dollar Il sogno americano, o la sua versione ridimensionata dalla crisi, oggi passa di qui. Lester Wahl, cinquantun’anni, una moglie e sei figli in Idaho, ne è il volto. Lo incrocio davanti al bancomat della Us Bank, unica filiale della città e tra le sue poche attrazioni. «Ho una patente per guidare i camion, ma dalle mie parti non ci facevo granché. Così ho cercato su Craiglist (un sito di annunci) e in due ore ho trovato un lavoro qui». Breve pausa esplicativa. Per il fracking prima si fa una perforazione nel terreno, profonda sino a tre chilometri. Poi si pompa ad alta pressione l’acqua nel condotto, insieme a una miscela di sabbia e una quantità di composti chimici che favoriscono l’estrazione. La pressione crea delle microfratture nella roccia circostante e la sabbia fa sì che il petrolio possa defluire nel condotto dagli interstizi che crea. Per un pozzo servono tra otto e venti milioni di litri d’acqua, ovvero processioni di camion. Perciò è un via vai continuo di centinaia di Lester. «Ho due figli già al college, sono venuto con un obiettivo molto chiaro. Così per sei mesi ho lavorato quasi ininterrottamente, 12-16 ore al giorno, senza tornare a casa e dormendo nel camion. E sono arrivato a fare sino a 10 mila dollari al mese». Non ne può più e sta per prendere una settimana di tregua. La ditta non voleva, lui si è licenziato in tronco. «È stato spiacevole, sono diventati subito aggressivi. Ma so perfettamente che ne trovo altri dieci disposti a prendermi, quando torno». Il suo vantaggio, oltre alla patente giusta, è di avere la fedina penale immacolata che evidentemente non dev’essere una dotazione standard.
Kobi, trentacinquenne dal Minnesota, che incrocio davanti al bar Daily Addiction, è meno entusiasta. Dopo tanti lavoretti nelle costruzioni qui ha trovato da fare come operaio sui pozzi. Aggiunta i tubi per le perforazioni, li pulisce. Mi mostra l’inizio di congelamento su due dita: «Qui ha fatto anche -30. E poi spendo 2500 dollari, un terzo di quel che prendo, per il mini-appartamento dove vivo con la mia fidanzata. Quando scade il contratto ce ne andiamo. Con queste piccole scorte troverò qualcosa, spero, in un clima migliore». Il giorno prima un pozzo ha preso fuoco e un operaio è rimasto leggermente ustionato. Sono cose che capitano. Davanti all’albergo Grand Williston, uno dei pochissimi che esistevano prima del boom, lunghi corridoi di moquette alta e una discreta somiglianza con l’Overlook di Shining, ci sono tre giganti che chiacchierano fumando. Mike, quarantenne dell’Idaho, dopo cinque anni ha deciso di finire la sua corvée. Lascerà in gestione la fiorente ditta di trasporti che ha creato a John, trentenne della Georgia: «Con il capitale accumulato torno a casa e ingrandisco la mia vera passione, un negozio di prodotti per la sopravvivenza». Cibo in scatola, liofilizzato, torce, coperte e coltelli («Il Paese è nel caos, bisogna essere pronti a tutto»). Dave, cinquantenne della Carolina del nord, resterà ancora un po’: «Sono separato. Nessuno mi aspetta. E voglio almeno far studiare i miei figli. E quando arrivo al gruzzolo che ho in mente, mi ritiro da qualche parte al mare. Game over». Già adesso, a meno cinque, gli basta una maglia di cotone. Non so di che pasta siano fatti, ma è diversa dalla nostra.
Il paese, come la maggior parte dell’America interna, è essenzialmente una Main street con tante traverse anonime. Dal 2010 a oggi la popolazione è quasi quadruplicata, a quota cinquantamila. È spuntato un secondo cinema che dà Need for speed e una programmazione action generalmente buona per adolescenti. Hoedderich è un emporio che sembra in naftalina dagli anni 50. Ci sono pezzi di aerei della guerra in Corea, pantaloni militari di quel periodo e trenini elettrici. La manager Clydette Boyer, di origini pellirosse, non mostra entusiasmo per la potenziale maggior clientela: «Qui non sapevamo cosa fosse il crimine, si dormiva con le porte aperte. Ora non più: furti, risse e omicidi. E un traffico infernale di camion che alzano una polvere che rende l’aria irrespirabile. Per non dire delle fuoriuscite di petrolio che contaminano i ruscelli e dello smaltimento delle acque reflue del fracking. Bisogna rispettare la Madre terra, l’unica risorsa che ci ha dato da vivere prima di questa frenesia». Tanti la pensano come lei. Soprattutto le donne, improvvisamente in schiacciante minoranza numerica e a disagio a uscire di sole di sera. Hanno tutte ricevuto una battuta di troppo, un’avance al supermercato Walmart, un fischio troglodita sul marciapiede. Solo le ballerine di lap dance sembrano contente. I due strip club vicini alla stazione non sono mai stati così pieni. Da quando Cnn ha parlato di exploit da tremila dollari a notte, non sanno più come gestire le candidate. Con una lontana e spuria eco di Bocca di rosa, le autoctone non gradiscono.
Se c’è un cittadino contento, è il primo. Ward Koeser, sindaco da quasi vent’anni, ricorda il boom degli anni 80 («Durò 6-7 anni»), ma dice che oggi è un’altra cosa e «potrebbe andare avanti più di venti». Parla sulla base di una recente stima del North Dakota Department of Mineral Resources che prevede per la Bakken Shale, la formazione di scisto sotto la quale si trova il greggio, di passare dagli attuali 8500 pozzi a oltre 20 mila. «La nostra cittadina è già diventata più giovane, più mista e vitale. Gli anziani che non avevano case di proprietà ora devono lasciare il centro per gli affitti impazziti. Capisco il loro dolore, e anche la nostalgia per una quiete che amavamo tutti. Ma l’alternativa era diventare una città fantasma, dalla quale i ragazzi fuggivano». Mi invita all’inaugurazione di un nuovo centro sportivo. Una struttura pazzesca, con quattro campi da basket, pista coperta, un aquafun per bambini in visibilio. Farebbe impressione anche a Manhattan, qui è come se fosse atterrata un’astronave. Tento un sondaggio tra il pubblico rapito: ma non avete preoccupazioni per l’impatto ambientale che il fracking può avere? È come dubitare della prova ontologica durante una messa. «La cosa davvero incomprensibile» mi ripete più d’uno «è che non abbiamo trovato un modo per riutilizzare tutto quel metano che esce dai pozzi e viene bruciato per disperderlo. Se facessero dei condotti ci potrebbero riscaldare gratis il paese». Ma costa meno bruciarlo.
Eppure il catalogo degli effetti collaterali è spesso. Tra gli elementi chimici che usano nel pompaggio ce ne sarebbero di cancerogeni. I micro-sismi nelle vicinanze delle trivellazioni si moltiplicano. Il documentario Gasland, bibbia dei critici, mostra casi in cui all’acqua che esce dai rubinetti si può dare fuoco per gli idrocarburi che contiene. Ci sono stati scontri con le comunità. Nonostante il patto faustiano di coltivatori che, vendendo la facoltà di trivellare la loro terra, incassano molto di più che con gli ortaggi. Lo Stato di New York ha imposto una moratoria sin quando la scienza non sarà chiara sui rischi. Se la revocasse partirebbe un gruviera miliardario da 50 a 100 mila pozzi. Le conseguenze geopolitiche sono già immense. Da importatori che erano, gli Stati Uniti in pochi anni sono diventati esportatori di gas naturale. Se hanno avuto così pochi tentennamenti con Putin sulla Crimea è anche perché hanno appena superato la Russia nella produzione di gas e petrolio. Nel 2020 potrebbe superare l’Arabia Saudita. E l’estate scorsa l’Economist ha pianto la morte di George Mitchell, il padre del fracking, scrivendo che «pochi imprenditori hanno cambiato il mondo» come lui. In meglio. In Galles per il momento l’hanno bandito e in varie altre località britanniche la contrarietà è evidente (Frack Off è il nome-calembour di un gruppo di resistenza). Lo stesso è accaduto nelle settimane scorse in Olanda.
Per Nick Nelsen tutto questo suscita lo stesso interesse di un dibattito sul sesso degli angeli. Dopo vent’anni in marina ora fa il vicemanager di Bear Paw Lodge, il campo temporaneo che ospita circa 500 operai petroliferi. Lo slogan della Target Logistics, la compagnia per cui lavora, è «Dovunque voi andiate. A qualunque costo». Sono gli stessi che costruiscono i villaggi prefabbricati per l’esercito in Iraq e Afghanistan. Mi fa fare un giro nella base. La maggioranza delle tute ignifughe che gli ospiti lasciano nello spogliatoi prima di avviarsi verso le stanze hanno lo stesso logo: Halliburton. Aiuta ricordare che fu Dick Cheney, allora vice di Bush dopo essere stato presidente del medesimo gigante petrolifero, a esentare il fracking dalle previsioni del Safe Water Act. Non potranno essere incriminati se anche inquinassero le falde acquifere. Un’eccezionalità simile a quella dei contractor che, per divisioni della stessa compagnia, interrogavano ad Abu Ghraib. «Questi ragazzi sono grandi lavoratori. Portano ricchezza al Paese. E quando avranno finito noi smonteremo il campo e lo lasceremo meglio di come l’abbiamo trovato». Cacadubbi astenersi.
Nel giorno più sbagliato, con una mezza tormenta in corso, un giovane cronista di nome Isaac Baker mi accompagna a visitare una coppia di allevatori che vivono circondati da un paio di pozzi. Abitano un’ora e mezzo a sud-est di Williston e alla Jeep si è rotto il riscaldamento. Frank Leppell è la rappresentazione plastica dell’espressione redneck, il collo rosso di chi lavora nei campi. Ci fa entrare in casa, ci offre un caffè in tazze-souvenir del quartiere a luci rosse di Amsterdam che qualcuno gli ha regalato. Dalla finestra si vede la trivella ancora alta. «Quando scavano trema tutto, non si riesce a dormire. I camion terrorizzano le nostre mucche. E poi, quando hanno riportato via l’acqua sporca, dai camion è caduta questa sostanza bianca». Mi mostrano una specie di polistirolo in un sacchetto da congelatore. Sua moglie dice: «Se dovesse succedere qualcosa alle nostre bestie, la faccio analizzare». Se un uomo con un pozzo di petrolio incontra un uomo con un bovino, l’uomo con il bovino è un uomo morto. Non c’è dubbio. Mi raccontano di un’altra allevatrice, Jacki Shilke, le cui mucche prima avevano perso la coda, poi cinque erano morte e poi un toro, due cani e due dozzine di gatti. La diagnosi: asfissia. Lei aveva smesso di venderne la carne. Pare che si sia trasferita in Montana. «Non ho niente contro il petrolio, ci ho lavorato anch’io» dice Frank, cinque fucili da caccia, un banjo e due teste di cervo impagliate alle sue spalle, «però non conosciamo le conseguenze di questa tecnologia».
«Ci usano come cavie» riassume la moglie. Ma lo show deve continuare. Si tratta di miliardi di tasse per uno Stato in bolletta. Della potenziale indipendenza energetica per gli Stati Uniti. Di liberarsi dal ricatto economico degli amici del terrorismo islamico, come piace metterla a più di un senatore repubblicano. I petrolieri, e le loro lobby, non erano così felici da decenni. Il sindaco Koeser ha parlato del cronista italiano a un costruttore locale italo-americano. «Mi chiamo David Forenza, mia nonna è venuta in America nel ‘56 con l’Andrea Doria» si presenta questo sorridente ragazzone. Otto fratelli cresciuti dalla madre subito lasciata dal marito, prima studia da dentista ma non gli piace e con i soldi del college inizia a costruire case in Colorado. Poi legge del boom, viene a vedere e capisce: «Da un volo al giorno erano passati a sei-sette. Mancavano posti dove dormire. Cinque anni fa ho comprato terre edificabili per 500 mila dollari, ora posseggo immobili per 20 milioni. Sto per costruire un centro commerciale e, tra qualche mese, il primo ristorante italiano del Nord Dakota». Mi mostra 50 appartamenti venduti, il nuovo cantiere. Sprizza soddisfazione. «Sai cosa mi sono comprato per il mio quarantesimo compleanno? Una Maserati. Sulle prime avevo pensato a una Ferrari, ma poi ho preferito qualcosa di meno vistoso». Se ne inventano di tutti i colori per passare inosservati. Sulla strada per l’aeroporto hanno da pochi giorni eretto un nuovo baracchino. È di legno fucsia e si chiama Boomtown Babes Espresso. Le «o» di boom sono le bombe dei fumetti, con un’iconografia che richiama due seni. A scanso di equivoci, babes sta per pupe. Il primo giorno le due giovani bariste avevano una maglietta aderente che scopriva la pancia. Poi ne è rimasta una, in t-shirt solo un po’ scollata. Funziona come un minuscolo drive-through, gli autisti si fermano accanto e ordinano senza scendere. Vedere ma non toccare. Se anche durasse solo dieci anni, la nuova corsa all’oro nero non ha alcuna intenzione di passare inosservata.