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 2014  giugno 26 Giovedì calendario

JANNACCI CANTA JANNACCI: «PORTO SUL PALCO L’ETICA DI PAPA’»

«La cosa più importante che mi ha insegnato il papà? Rispettare chi fa funzionare uno show, specie i la­voratori più umili. Ci restava ma­lissimo, se una volta tornato a casa gli veniva in mente di non aver salutato i facchini…». È quando Paolo Jannacci risponde a questa do­manda che si capisce perché il suo “Concerto con Enzo” (Enzo Jannacci, suo padre) funzio­ni. Anzi, colpisca al cuore. Ben più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, essendo Paolo pia­nista jazz che in questo spettacolo osa cantare. Cantare “il papà”, come lo chiama lui, ovvero una faccenda complessa; e non cantarlo ba­nalmente: L’Armando, Messico e nuvole, ma an­che Musical, L’uomo a metà’ Sfiorisci bel fiore, Quelli che…. Paolo, prima di questa sfida, non aveva mai cantato: se non in tour con Enzo, fa­cendo qualche coro. Ma se di quei tour l’eredità che ti cita è il rispetto, è ovvio che egli non sia Jannacci solo di Dna: ma anche di etica. Mes­sa sul palco con voce sicura e attenzione alle pa­role, divertendo e commuovendo: dalla prima milanese alle date di Senigallia (il 26), Predaia (14 agosto) e quelle che verranno. Col suo trio jazz (Bagnoli-Moretto-Ricci), e con Enzo. Anzi, per Enzo.
Come le è venuta l’apparentemente folle idea di cantare le canzoni di suo padre?
«È stato molto naturale. Avevo cominciato per lo special di Fazio dedicato a papà regalando­gli Com’è difficile di Tenco e non era stata una roba malvagia. Poi mi hanno chiesto di farlo ancora e mi sono testato, sempre con dediche mirate e mai per il gusto. Sentivo la mia voce non sgradevole e molti amici mi hanno chie­sto di non far dimenticare il papà. Di lì uno spet­tacolo mio con brani suoi».
E un repertorio che lei definì, alla vigilia del debutto, «minimo». E invece contiene anche “Musical”, complesso e poco noto…
«Volevo ricordare quanto non è ricordato, as­sieme a qualche successo, sempre badando a cosa mi sta addosso. Dopo tre giorni di prove con il mio trio ho chiesto a loro se ne valeva la pena. E loro mi hanno detto sì. Con Musical so­no nato, conosco le intenzioni di Enzo autore e cerco di farle uscire nella voce. Nel tempo, mi­gliorando, proporrò anche altri suoi cardini come E allora concerto».
Che difficoltà ha incontrato?
«Essere pianista. Il papà si circon­dava di ottimi musicisti per canta­re restando tutt’uno col senso dei pezzi. Io suono l’unico strumento conduttore del gruppo e non è fa­cile. Faceva il palo non riesce».
Come valuta, a distanza, il disco po­stumo di Enzo da lei prodotto? Il duetto con J-Ax ha avuto senso?
«Ha un milione di visualizzazioni. Quindi ha fatto conoscere il papà e il suo messaggio di aiutare gli altri. Lo cantano i bambini di sei an­ni, quel brano».
E perché divulgare la voce di Enzo sofferente?
«L’ho vissuto in altro modo, quel lavoro. Ho vi­sto la magia di papà che voleva far capire delle storie, cantando quando riusciva. Senza con­tare l’esempio: per amore cantava anche ma­lato. E poteva non farlo».
Uno degli ultimi scritti di Enzo è per il suo Cd “Allegra”. Col quale da jazzista dove è arrivato?
«A mettere un punto fermo sul trio e il mio modo di fare musica, lavo­rando per immagini tradotte in suoni e cercando la differenza an­che nella tecnologia. Ora vorrei fer­mare certe vette che col trio rag­giungiamo nei live. Perché un suo­no ci definisca in toto. E poi vorrei comunicare con la voce. Le cose di papà, ma non solo: vorrei trovare una strada originale e mia. Partiamo dal “Concerto con Enzo”, poi si vedrà. Studiando sempre, ovviamente».