Andrea Pedrinelli, Avvenire 26/6/2014, 26 giugno 2014
JANNACCI CANTA JANNACCI: «PORTO SUL PALCO L’ETICA DI PAPA’»
«La cosa più importante che mi ha insegnato il papà? Rispettare chi fa funzionare uno show, specie i lavoratori più umili. Ci restava malissimo, se una volta tornato a casa gli veniva in mente di non aver salutato i facchini…». È quando Paolo Jannacci risponde a questa domanda che si capisce perché il suo “Concerto con Enzo” (Enzo Jannacci, suo padre) funzioni. Anzi, colpisca al cuore. Ben più di quanto ci si sarebbe potuti aspettare, essendo Paolo pianista jazz che in questo spettacolo osa cantare. Cantare “il papà”, come lo chiama lui, ovvero una faccenda complessa; e non cantarlo banalmente: L’Armando, Messico e nuvole, ma anche Musical, L’uomo a metà’ Sfiorisci bel fiore, Quelli che…. Paolo, prima di questa sfida, non aveva mai cantato: se non in tour con Enzo, facendo qualche coro. Ma se di quei tour l’eredità che ti cita è il rispetto, è ovvio che egli non sia Jannacci solo di Dna: ma anche di etica. Messa sul palco con voce sicura e attenzione alle parole, divertendo e commuovendo: dalla prima milanese alle date di Senigallia (il 26), Predaia (14 agosto) e quelle che verranno. Col suo trio jazz (Bagnoli-Moretto-Ricci), e con Enzo. Anzi, per Enzo.
Come le è venuta l’apparentemente folle idea di cantare le canzoni di suo padre?
«È stato molto naturale. Avevo cominciato per lo special di Fazio dedicato a papà regalandogli Com’è difficile di Tenco e non era stata una roba malvagia. Poi mi hanno chiesto di farlo ancora e mi sono testato, sempre con dediche mirate e mai per il gusto. Sentivo la mia voce non sgradevole e molti amici mi hanno chiesto di non far dimenticare il papà. Di lì uno spettacolo mio con brani suoi».
E un repertorio che lei definì, alla vigilia del debutto, «minimo». E invece contiene anche “Musical”, complesso e poco noto…
«Volevo ricordare quanto non è ricordato, assieme a qualche successo, sempre badando a cosa mi sta addosso. Dopo tre giorni di prove con il mio trio ho chiesto a loro se ne valeva la pena. E loro mi hanno detto sì. Con Musical sono nato, conosco le intenzioni di Enzo autore e cerco di farle uscire nella voce. Nel tempo, migliorando, proporrò anche altri suoi cardini come E allora concerto».
Che difficoltà ha incontrato?
«Essere pianista. Il papà si circondava di ottimi musicisti per cantare restando tutt’uno col senso dei pezzi. Io suono l’unico strumento conduttore del gruppo e non è facile. Faceva il palo non riesce».
Come valuta, a distanza, il disco postumo di Enzo da lei prodotto? Il duetto con J-Ax ha avuto senso?
«Ha un milione di visualizzazioni. Quindi ha fatto conoscere il papà e il suo messaggio di aiutare gli altri. Lo cantano i bambini di sei anni, quel brano».
E perché divulgare la voce di Enzo sofferente?
«L’ho vissuto in altro modo, quel lavoro. Ho visto la magia di papà che voleva far capire delle storie, cantando quando riusciva. Senza contare l’esempio: per amore cantava anche malato. E poteva non farlo».
Uno degli ultimi scritti di Enzo è per il suo Cd “Allegra”. Col quale da jazzista dove è arrivato?
«A mettere un punto fermo sul trio e il mio modo di fare musica, lavorando per immagini tradotte in suoni e cercando la differenza anche nella tecnologia. Ora vorrei fermare certe vette che col trio raggiungiamo nei live. Perché un suono ci definisca in toto. E poi vorrei comunicare con la voce. Le cose di papà, ma non solo: vorrei trovare una strada originale e mia. Partiamo dal “Concerto con Enzo”, poi si vedrà. Studiando sempre, ovviamente».