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 2014  giugno 26 Giovedì calendario

ITALIA, LA PARTITA SEGRETA LA FATICA, LE LITI E LA DELUSIONE


DAI NOSTRI INVIATI RIO DE JANEIRO — Dalle finestre sull’Oceano del Pestana Palace si intravvedono le famose dune di Natal. È un gran bel posto, ma da qui è iniziata la traversata del deserto per gli azzurri. Col miraggio della qualificazione e le facce prima tese e poi stravolte per il fallimento collettivo e individuale. Dal duro confronto tra Prandelli e Balotelli nell’intervallo («O cambi atteggiamento o devo sostituirti. Stai zitto, basta parlare o ti buttano fuori») fino alle lacrime di Verratti dopo l’eliminazione. Dal buffetto di Buffon per incoraggiare Darmian, allo smarrimento di Marchisio che fissa incredulo il cartellino rosso. Dalle proteste, anche un po’ schifate, di Chiellini con la spalla nuda e il segno del morso di Suarez. Fino alla camminata nervosa dello stesso Prandelli sulla strada verso le dimissioni lampo, decise in un confronto con il presidente Abete, il capo delegazione Albertini e il direttore generale della Figc, Valentini: il c.t. è furioso e sente il peso del fallimento, ma tra le sue scelte l’unica che davvero non rifarebbe è puntare tutto su Balotelli. Che al fischio finale si copre gli occhi con le mani, disperato.
In mezzo a tutto questo, come una barchetta nella tempesta, c’è lo spogliatoio azzurro, il luogo «sacro», dove la tensione del prepartita diventa rabbia propositiva nell’intervallo e senso di tremenda frustrazione alla fine. Nessuno si mette le mani addosso, ma tra sedie e bottigliette, volano anche parole grosse. La spaccatura tra i senatori della squadra e Balotelli è clamorosa. Prandelli sprona il numero 9 «a stare più dentro la partita». Lui bofonchia qualcosa, nervosamente. Non capisce, dice che sta giocando al meglio. De Rossi e Buffon lo riprendono davanti a tutti. Il c.t. decide per la sostituzione.
Non a caso Mario è l’unico a uscire dagli spogliatoi con largo anticipo per salire sul pullman. Nel sancta sanctorum dell’Italia, tutta la squadra aspetta che Andrea Pirlo sbrighi le faccende all’antidoping per tributargli un omaggio doveroso dopo la sua ultima partita in azzurro. Balotelli viene tirato giù dal pullman da un dirigente federale e riportato nello spogliatoio: quando ripassa assieme ai compagni, Mario è senza le super cuffie e ha uno sguardo ancora più smarrito. Come uno che è stato messo al muro, senza capirci un granché.
Eppure la giornata azzurra era cominciata meglio di quelle di Manaus e Recife. Il primo gesto appena svegli viene spontaneo: tirare la tenda per vedere come è il cielo. Non c’è la pioggia tropicale del giorno prima, ma un pallido sole: il clima tanto temuto sembra clemente. Gli azzurri arrivano allo stadio con largo anticipo. Marchisio nelle cuffie ascolta l’album «X» di Ed Sheeran: Prandelli ha promesso che «nella partita più importante della sua carriera» l’Italia non giocherà per il pareggio. Ma tutti farebbero la firma con quella stessa croce.
Lo stadio è per buona parte celeste, ma i brasiliani sono tutti con gli azzurri. Prima di uscire dal tunnel Buffon abbraccia Bonucci, che debutta in questo Mondiale. Gigi dà anche un buffetto a Darmian, che si scuote e scioglie la tensione: un gesto da fratello maggiore. In campo l’inno italiano è il primo a essere cantato: dà la giusta carica, ma non c’è paragone con il boato di quello uruguaiano.
L’inizio della partita fa intuire che lo spettacolo non è previsto. La grinta e la qualità di Verratti, il più giovane in campo, però tengono gli azzurri in gara nel braccio di ferro di centrocampo. Buffon si supera con una doppia parata. Gli errori di misura sono tanti e Prandelli sbotta: «Non si fa così». Balotelli soffre le attenzioni ravvicinate dell’esperto Godin. Cade, sembra aver bisogno del medico, ma è un falso allarme. Per modo di dire: Mario colpisce in testa Pereira con un intervento scomposto e viene ammonito. È diffidato e se l’Italia passa lui non ci sarà. Ma Prandelli non ha tempo per aspettare. Dopo uno, due, tre richiami, lo lascia negli spogliatoi.
Mentre là dentro si discute, Parolo si prepara a entrare: De Rossi lo avvicina, gli parla fitto, gli dà consigli e fiducia. Ma l’Italia resta in dieci per davvero: la faccia di Marchisio di fronte all’arbitro Rodriguez che sta estraendo il cartellino è di uno che non si aspetta nemmeno il giallo. Arriva il rosso. Prandelli urla «No questa no! Non esiste!». Pirlo è una maschera di sudore e di fatica. L’Italia viene schiacciata in difesa e le facce degli azzurri diventano patibolari. Un po’ come quella del serial killer delle aree di rigore, Luis Suarez, che addenta Chiellini e poi fa finta di essere stato colpito: si tocca i dentoni, l’uruguaiano, vedi mai si fosse incastrato un pezzo di carne.
In effetti l’arrosto azzurro è pronto per essere servito. Godin sale più in alto di tutti e segna un gol di testa che per la nostra difesa ormai è un grande classico. Prandelli allarga le braccia, quasi se l’aspettasse, ma cerca di scuotere la squadra. Che negli ultimi dieci minuti corre, magari a vuoto, ma corre. Il maestro uruguaiano Tabarez sembra vecchissimo e indossa un vestito troppo largo, mentre i suoi giocatori lo strapazzano di gioia. Prandelli mantiene il passo elegante e la testa alta, mentre esce dal Mondiale e dalla storia azzurra. Stringe la mano ai suoi, fa gli auguri al collega, saluta tutta la terna arbitrale.
Tra il campo e la conferenza stampa, in una riunione veloce che va dritta al punto, il c.t. matura la scelta delle dimissioni. Mentre le annuncia «irrevocabili» in conferenza stampa, sembra quasi sollevato. Ma è soprattutto furioso e deluso.