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 2014  giugno 26 Giovedì calendario

ALLE RADICI DEL FLOP, IL VIZIO DI NON INVESTIRE SU FORMAZIONE E GIOVANI

Tra le molte analisi post fallimento calcistico poche attenzioni si sono concentrate su un vecchio vizio italico, investire poco in formazione. E questo riguarda tutti i settori dall’agricoltura all’industria, dal turismo alla cultura, dai servizi alle imprese allo sport, le spese di formazione delle nostre imprese sono da decenni classificate da tutti gli organismi internazionali, Ocse, Onu. EU, e nazionali. Istat e Bankitalia, agli ultimi posti in Europa, seconde solo a Grecia e Portogallo e nel mondo. Questo elemento è considerato da molti, Bankitalia in testa, anche la ragione principale della scarsa crescita di produttività del sistema Italia.
L’assenza di formazione si somma ad una lacuna strutturale del sistema Italia, il buco demografico da bassa natalità. Da quarant’anni il numero dei nati si è dimezzato da 1 milione a 500mila l’anno, malgrado la popolazione sia cresciuta da 50 a 60 milioni. Questo fa oggi dell’Italia il Paese più vecchio del mondo, 45 anni di età media, con Germania e Giappone, contro i 40 di Svezia, Francia e Olanda; i 35 della Cina; i 27 dei Paesi dell’America Latina e i 25 di quelli dell’Africa, oltre a creare un buco demografico enorme che spiega come e perché l’Italia, paese non ricco e ad alta disoccupazione, abbia dovuta assorbire un considerevole numero di immigrati, 4 milioni nel decennio 2000-2010, per non morire.
Che c’entra questo discorso col flop al mondiale brasiliano? C’entra perché i dirigenti del nostro calcio, invece di tener in conto il buco demografico e la carenza di giovani, si sono comportati in modo esattamente contrario, cedendo alla volontà dei procuratori di calcio e ignorando completamente gli interessi nazionali e i veri interessi aziendali, acquistando sempre più giocatori già formati, possibilmente stranieri, investendo sempre meno nei vivai da cui storicamente venivano fuori in passato i campioni che hanno favorito tanti successi anche in altri sport (basket, volley, pallanuoto etc.)

TUTTE LE STORTURE DEL SISTEMA
Sapete qual è oggi il Paese con la più alta quota di stranieri negli organici dei club di calcio, basket e volley? E qual è il Paese con l’età media più alta delle squadre di calcio di serie A? E sapete qual è il Paese con la più bassa quota di giovani del vivaio del calcio professionistico? E quindi di quale Paese sono le squadre con la più alta quota di giocatori provenienti dall’esterno, nell’organico? I dati che seguono vengono da fonti attendibili, News supercommesse, Fipro, sindacato mondiale calciatori ed altri. Risposta al primo quesito, la quota di stranieri nelle squadre di calcio di serie A vede in testa l’Italia col 58% che diventa 70% se si considerano quelli che giocano e non meramente quelli in organico. Segue la Premier League inglese col 68%, dato gonfiato dal fatto che si valutano come stranieri, gallesi, scozzesi e nordirlandesi. Seguono il Portogallo col 53%, dovuto al fatto che molti brasiliani-portoghesi hanno doppio passaporto, la Bundesliga col 46% di stranieri, la Ligue 1 francese col 44%, la Liga spagnola col 38% e quella olandese col 34%. Cioè l’Italia importa da anni giocatori stranieri più di qualsiasi altro Paese al mondo, con danni economici (bilancia dei pagamenti) e soprattutto sportivi e sociali (danni ai giovani dei vivai), e quindi allo sport italiano. Naturalmente la risposta al secondo quesito è scontata. La serie A di calcio italiana, con 27,1 anni di età media, è quella coi giocatori più vecchi, seguita da Inghilterra, Germania e Spagna, mentre con 24 anni l’Olanda ha i calciatori della serie A più giovani.

NON SOLO IN SERIE A
Gli stranieri dominano anche nella serie B e nella Lega Pro, mentre Siena – leader del campionato di basket – ha giocato la maggioranza delle partite con 5 stranieri su 5, così come molte squadre di volley e di calcio a 5. Con queste premesse è naturale che il lancio di giovani nella prima squadra divenga un avvenimento difficile e del tutto eccezionale. Mancanza di esperienza, è la frase che i nostri presidenti adoperano per giustificare lo scarso impiego di giovani calciatori, ma fuori dei confini nazionali la pensano in maniera opposta, avendo lanciato in prima squadra calciatori in tenerissima età (ne cito solo alcuni: Goretzka, Lukaku, Hazard, Janunzaj, Varane, Verratti, Shaw, Sterling). Quest’anno la nostra serie A ha lanciato solo due giovani, Berardi del Sassuolo (ha realizzato 16 reti) e il portiere Scuffet dell’Udinese. Una stima della quota di titolari di prima squadra provenienti dal vivaio interno vede al primo posto la serie A di calcio francese col 21%, seguita dalla Gran Bretagna col 17%, dalla Germania col 15% e in coda l’Italia con un misero 7%. Si dimostra ancora una volta il grande errore italico, ha pochi giovani e li tratta anche male.
Preferire le scorciatoie del «vecchio sicuro» alla fatica di «formare i giovani» è stata una strategia che si è dimostrata fallimentari non solo alla luce dei costi-benefici di lungo periodo (bilanci, pubblico agli stadi, etc.) ma anche a quella dei risultati di breve periodo. Le leghe di calcio inglese e italiana, quelle che più hanno seguito la via dell’«acquisto sicuro», le più imbottite di stranieri, sono anche quelle più gravate da insuccessi negli ultimi anni, mentre Francia, Germania e soprattutto Olanda, che hanno curato meglio i loro vivai e sono meno imbottite di atleti provenienti da federazioni estere, si sono comportate meglio, anche in questo Mondiale.
Cesare Prandelli avrà certo le sue colpe tecnico-tattiche ma, in sostanza, possiamo dire che si è rivelato un imperfetto selezionatore all’interno di un universo assai povero di giovani italiani di talento. Ci sono colpe precise e individuali di un flop, la seconda uscita di scena consecutiva prima della fase ad eliminazione diretta ad un mondiale di calcio (era già accaduto in Sudafrica nel 2010 quando il ct era Marcello Lippi), che vanno inquadrate in un contesto assai più generale e preoccupante. L’Italia è il Paese più vecchio del mondo, con Giappone e Germania, ma è anche il Paese che, a differenza di Germania e Giappone, maltratta i «pochi» giovani di cui dispone. I dati lo dimostrano ad abundantiam nel calcio ma non solo. Nel calcio i paradossi negativi italiani hanno imposto un prezzo alto, ma prevedibile. Quando la nostra nazionale di calcio under 21, pur essendosi ben comportata all’ultimo europeo, ha mostrato formazioni col più basso numero di giocatori titolari nelle rispettive squadre, la cosa non poteva non segnare un grosso campanello di allarme per chi doveva selezionare una squadra di pro per il campionato del mondo.
Anche alcune analisi che hanno indicato la «generale sfiducia del Paese in se stesso» come concausa dell’insuccesso azzurro (Aldo Cazzullo sul Corriere della Sera) non mi appaiono convincenti. Se lo fossero dovremmo preoccuparci dell’eliminazione dal mondiale ancora più di quanto la situazione non richieda, lo stesso successo elettorale e politico di Matteo Renzi avrebbe potuto essere minato dalla situazione di generale sfiducia del Paese e non lo è stato. Absiti niura verbis!