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 2014  giugno 26 Giovedì calendario

LA CINA IN ALLARME PER IL CRAC DELLE SUE BANCHE

La lunga marcia continua: in rosso, naturalmente. Secondo Standard & Poor’s nel 2016 l’economia cinese avrà più debiti dell’Europa e degli Stati Uniti messi assieme: più di 20 mila miliardi di dollari. L’allarme ha trovato ieri un’indiretta conferma nel rapporto del vice governatore della banca centrale di Pechino, Liu Shiyu, al Comitato Permanente dell’Assemblea Nazionale del Popolo. L’economia, ha spiegato l’economista, cresce ad un tasso accettabile, attorno al 7,5%. Ma a un prezzo che non sarà facile sostenere nel tempo: il settore «bancario ombra», cioè quella parte della finanza che sfugge ai controlli della banca centrale, ha toccato la cifra ufficiale di 4.400 miliardi di dollari, più o meno il doppio del pil italiano. Intanto, alcuni settori industriali «protetti» e intere regioni corrono il rischio della bancarotta finora scongiurata proprio grazie ai prestiti dei banchieri ombra, a loro volta alimentati da quattrini di dubbi origine (evasione fiscale, mazzette, speculazioni in Borsa e fuori). Questi dati giustificano le strette che, a scadenze ormai ravvicinati, la banca centrale impone alla finanza allegra di Pechino e Shanghai. Con scarso successo, per la verità. Il mese scorso, la China Banking Regulatory Commission, authority cinese del settore bancario, aveva pubblicato i dati dei prestiti in sofferenza delle banche cinesi, che nei primi tre mesi del 2014 hanno toccato i livelli più alti dal 2005. A fine marzo scorso i nonperforming loans avevano toccato quota 646,1 miliardi di yuan (circa 75,7 miliardi di euro). Ma i numeri, per quanto impressionanti, non danno la misura dei pericoli che corre la seconda economia del pianeta. Tanto per cominciare la finanza allegra ha colpito soprattutto le piccole e medie imprese del Drago. Come dimostra la denuncia ai giornali di Yin Haibian, un padroncino di una fabbrica di borse ed accessori in cuoio del Guangdong già in difficoltà per la concorrenza in arrivo dal Vietnam. «Ma il mio vero problema si legge in un reportage del New York Times-èchedevopagareil3 per cento al mese in interessi». Tanto quanto gli chiede il «banchiere ombra» cui si è rivolto su suggerimento del banchiere ufficiale che ha chiuso i rubinetti del credito.
Le grandi banche, infatti, sono concentrate nel finanziamento della grande industria pubblica e, più ancora, nei progetti spesso faraonici di città e regioni autonome, da cui dipende la loro poltrona. In questi anni, sulla base del pincipio della crescita ad ogni costo, le autorità locali hanno fatto a gara a moltiplicare gli investimenti immobiliari o nelle infrastrutture, spesso senza badare alla loro effettiva utilità. La finanza ombra, infatti, ha creato seri problemi alla stabilità del dollaro: molti speculatori, non solo cinesi, hanno operato sui cambi usando come garanzia le materie prime che, in teoria, dovrebbero essere parcheggiate presso il porto di Shanghai. Ma questi depositi, sospettano in molti, sono più sulla carta che nella realtà con il risultato che, in caso di perdita, si va in fallimento. Insomma, la Cina, oltre ad essere la fabbrica del pianeta, e una polveriera. La banca centrale è impeganata a spegnere eventuali incendi. Ieri la metropolitana di Pechino ha siglato, per la prima volta, un prestito estero per 160 milioni di dollari. Insomma, se si chiudono i rubinetti in casa, il Drago può dissetarsi fuori. A loro e nostro rischio.