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 2014  giugno 26 Giovedì calendario

I SOLDI E LE PRESSIONI ECCO LA VERITÀ SULL’ADDIO DI PRANDELLI


C’è qualcosa di «non detto» a proposito delle dimissioni di Cesare Prandelli, «fu» ct. E sono cose grosse.
Martedì, un’ora dopo l’eliminazione degli azzurri ai Mondiali, l’ex commissario ha sparato a zero, se l’è presa con Libero, con Filippo Facci e le sue considerazioni (scritte a marzo...) relative al nuovo contratto dell’allenatore. Così Prandelli: «Ho sentito dire che rubavo soldi ai contribuenti: do le mie dimissioni ma questo non lo voglio sentire dire. Io ho sempre pagato le tasse regolarmente». Ne siamo certi, ma il punto non è questo. Anzi, lo sfogo dell’ex allenatore dell’Italia (che il 15 aprile concesse proprio a noi una lunga intervista esclusiva per chiarire i dettagli del contratto) è la spia di un malessere con il quale Libero non c’entra, ma che Libero può svelare ai suoi lettori. In quell’intervista, rilasciata a chi scrive da un Prandelli per nulla risentito, l’allora tecnico azzurro chiariva che il suo ingaggio veniva coperto «al 60-70% dagli sponsor della federazione» e che avrebbe presto firmato un nuovo contratto con la Figc. «Non so se sarà di 1,7 milioni, spero anche di più. Del resto sono uno dei ct che guadagna di meno in Europa». Aveva detto una piccola bugia (è nella parte bassa della classifica, ma non tra gli ultimi), però era parso sereno e pronto ad affrontare rischi e pressioni di una spedizione Mondiale. Ma qualcosa non stava filando per il verso giusto.
IL GIALLO DEL RITARDO
Dal giorno dell’intervista all’effettiva firma del contratto con la Federazione sono passate settimane, tanto che molti tra i colleghi si stavano interrogando: «C’è qualcosa che non va? Perché non danno l’annuncio?». Poi l’accordo si è concretizzato a pochi giorni dalla partenza per il Brasile (26 maggio), quasi a tranquillizzare tutti. Prandelli è volato in Sudamerica con in tasca un biennale da 1,65 milioni a stagione corredato da un paio di clausole: la prima prevedeva lo sfruttamento dei diritti d’immagine divisi tra lui e la Figc, l’altra assegnava al tecnico nuove responsabilità legate alla ristrutturazione dell’apparato sportivo federale, comprese le giovanili. Un’intesa decisa
insieme all’ex presidente Figc Giancarlo Abete, sempre stato dalla parte di Prandelli e che insieme a lui si è dimesso nonostante il progetto fosse costruito a prescindere dal Mondiale. Così Prandelli in un passo dell’intervista: «Il contratto rinnovato prima del Mondiale? È la prima volta che accade nel calcio. Questa è una prova che abbiamo lavorato bene e che il nostro percorso può continuare a prescindere da quel che accadrà».
LE OFFERTE AL CT
Ma la verità è che quel contratto firmato, ma «sospeso» nell’aria non solo aveva pochissime possibilità di reggere all’urto del Mondiale, ma era strettamente legato ai risultati conseguiti in Brasile. Anzi, secondo alcuni spifferi federali neanche la qualificazione agli ottavi avrebbe garantito a Prandelli e Abete la prosecuzione fino a Euro 2016. Il ct in conferenza stampa post-disfatta ha detto: «Quando ho rinnovato il contratto è subito cambiato qualcosa: siamo stati considerati come un partito politico». Ma è lui che per primo non era convinto di quello che stava accadendo in federazione: i suoi più stretti collaboratori avevano segnalato nervosismo da parte dello stesso Cesare prima della firma perché «il contratto c’è ma non si vede». Erano uscite voci di un possibile sondaggio da parte del Milan per sostituire Seedorf (smentito), e a Libero risultano tre offerte concrete piovute sulla scrivania del tecnico di Orzinuovi. Una prevedeva un
ingaggio di 4,7 milioni ed è stata rifiutata. Un’altra è arrivata a Madrid il 5 marzo, giorno dell’amichevole Spagna-Italia. Mittente: il Monaco, allora allenato da Ranieri. Prandelli è stato sondato in parallelo con Antonio Conte, mister della Juventus: entrambi hanno detto no. La terza proveniva da un club dell’Est e non è stata neppure vagliata. Davvero, dunque, il ct stava ragionando su una prosecuzione in azzurro, almeno fino a quando ha capito che la sua idea di «programmazione» non piaceva a tutti in seno alla Federazione.
I TIMORI SU MARIO
Il famoso codice etico, ad esempio: Abete era d’accordo, altri no. E poi le convocazioni. Chi conosce il ct garantisce che per tutta la stagione Prandelli, osservando il Milan, ha avuto serissimi dubbi sul mettere Mario Balotelli al centro dell’attacco. A un certo punto lo stesso Cesare è uscito allo scoperto: «Neanche lui è sicuro della convocazione». Balotelli non solo è partito per il Brasile, ma è stato indicato come punta di diamante. Così Prandelli nella conferenza di Natal: «L’ho scelto io, se lui ha fallito, io con lui». C’è chi sostiene che le cose non stiano proprio così: semplicemente Prandelli non avrebbe avuto la forza didiredinoaMarioeaitroppi interessi in ballo attorno al «bad boy».
Discorso diverso per Cassano e Giuseppe Rossi: sul primo Prandelli si è fidato, sbagliando, del giudizio del figlio Niccolò, uno dei preparatori atletici del Parma che ne ha tessuto le lodi per tutta la stagione. Quanto a Rossi, una fonte informata riferisce a Libero che lo stesso attaccante è arrivato nel pre-ritiro di Coverciano in condizioni fisiche sufficienti, ma «spompato mentalmente» a causa della micidiale rincorsa per recuperare. In chiusura, una certezza: Prandelli non recita la parte. Ha lasciato perché ha capito che stava vivendo da ct in qualche modo «commissariato», che qualcuno in federazione (non Abete) aveva dubbi sulla sua prosecuzione. Per questo si è dimesso, e non tratterà alcuna buonuscita rinunciando a ogni euro del contratto. Come, a suo tempo, fece con la Fiorentina.