David Carretta, Il Messaggero 26/6/2014, 26 giugno 2014
JUNCKER, IL MEDIATORE AMICO DI BERLINO CHE LONDRA NON VUOLE
Per i tabloid britannici è un pericoloso federalista, che beve cognac a colazione ed è pronto a cacciare il Regno Unito dall’Unione Europea. Per i lussemburghesi è l’orgoglio del Granducato, che avrebbero confermato come primo ministro per la quarta volta consecutiva quest’anno, se un complotto di tutti gli altri partiti non lo avesse costretto a gettare la spugna. Jean-Claude Juncker, dopo aver trascorso quasi 20 anni alla testa di un paese grande come la provincia di Ancona, a meno di clamorose sorprese venerdì sarà designato come prossimo presidente della Commissione. «E’ la più vecchia volpe della politica comunitaria», spiega un diplomatico di lungo corso. «Ma è anche una personalità imprevedibile, la cui concezione dell’UE si fonda su unico principio: il dominio della coppia franco-tedesca».
Figlio di un sindacalista arruolato a forza nella Wermacht tedesca durante la seconda guerra mondiale, Juncker è un democristiano con una forte attenzione al sociale e un europeista d’altri tempi, formatosi con Helmut Kohl e François Mitterrand. Ma nella sua lunga storia politica non ha esitato a compromettere i suoi valori per far ricco il Lussemburgo o compiacere gli azionisti di maggioranza dell’Ue.
Come primo ministro ha difeso strenuamente il segreto bancario che ha permesso al suo paese di diventare la cassaforte degli evasori fiscali di Belgio, Francia e Germania. Dopo aver contribuito al trattato di Maastricht, nel 2003 Juncker votò per permettere a Parigi e Berlino di violare il Patto di Stabilità. Ricompensato con la presidenza dell’Eurogruppo nel 2004, chiuse entrambi gli occhi sui trucchi di bilancio della Grecia, salvo poi acconsentire all’austerità voluta dalla Germania per il Sud Europa.
Presidente della Commissione, Juncker lo diventerà quasi per caso. La sua candidatura come capofila del Partito Popolare Europeo è stata improvvisata per fare concorrenza al socialdemocratico tedesco Martin Schulz. Lo stesso Juncker avrebbe preferito un altro incarico, quello di presidente del Consiglio Europeo. A 59 anni è ancora giovane per la politica europea, ma in privato ministri e diplomatici ammettono di avere qualche dubbio sulle sue capacità di reggere un impegno così gravoso come quello alla Commissione.
Juncker non usa internet, scrive i discorsi da solo a penna, si circonda di pochi fidati collaboratori, quando la macchina comunitaria necessita di un gabinetto di decine di persone. Fumatore accanito che sta tentando la via della sigaretta elettronica, Juncker nega di avere un problema con l’alcol, ma ammette di concedersi «gin tonic in estate, aperol in inverno».
La probabile rottura con il Regno Unito sarà la prima sfida di Juncker alla Commissione, visti i suoi difficili rapporti con Londra. Sull’austerità, alla fine del suo mandato all’Eurogruppo, si era tolto un sasso dalla scarpa, accusando la Germania di «pagarsi il lusso di fare politica interna sulle spalle dell’euro».
La crisi ha anche dimostrato che il peso internazionale di Juncker è minimo: tra il gennaio 2010 e il giugno 2012, l’allora presidente dell’Eurogruppo parlò una sola volta al telefono con Timothy Geithner, contro le 12 chiamate del segretario al Tesoro americano al commissario Olli Rehn e le 58 alla coppia Trichet-Draghi alla testa della Bce. Insomma, con Juncker, il numero di telefono invocato da Kissinger per l’Europa rischia di rimanere quello di Angela Merkel.