Sergio Romano, Corriere della Sera 26/5/2014, 26 maggio 2014
Si torna a parlare di curdi e di Kurdistan. La situazione che si è creata in Iraq pone i curdi nella migliore condizione (l’occasione della vita) per creare finalmente il loro Stato del Kurdistan, oggi n azione di 45-50 milioni di abitanti (sparsi in 5 Stati), ma non uno Stato indipendente
Si torna a parlare di curdi e di Kurdistan. La situazione che si è creata in Iraq pone i curdi nella migliore condizione (l’occasione della vita) per creare finalmente il loro Stato del Kurdistan, oggi n azione di 45-50 milioni di abitanti (sparsi in 5 Stati), ma non uno Stato indipendente. Data la situazione in atto in Siria e Irak, credo che i due Stati non abbiano la possibilità di opporsi. Al contrario, una opposizione durissima arriverebbe sicuramente dalla Turchia, dove vive la maggioranza dei curdi. E ciò, anche qualora lo Stato del Kurdistan fissasse i suoi confini nell’attuale Kurdistan iracheno, nel timore che prima o poi il popolo curdo della Turchia, che ha lottato con ogni mezzo per affermare la propria identità, possa riprendere le armi, per rivendicare l’indipendenza. Qual è il suo pensiero al riguardo? Attilio Lucchini attiliolucchini@ hotmail.it Caro Lucchini, C redo che nei rapporti fra curdi e turchi vi sia stato, negli ultimi tempi, qualche interessante cambiamento. Non sembra che la maggiore ambizione dei curdi iracheni, oggi, sia la creazione di un improbabile Kurdistan di cui farebbero parte tutte le comunità curde della regione, dall’Iraq alla Siria, dalla Turchia all’Iran. Penso piuttosto che vogliano consolidare la loro autonomia, senza troppo preoccuparsi del modo in cui verrà formalmente definita, e continuare a crescere economicamente. Offrono agli investitori stranieri un ambiente propizio e accogliente, una buona amministrazione pubblica, una società laboriosa e risorse petrolifere che sono state di fatto sottratte al controllo di Bagdad. La Turchia, in questo quadro, è un eccellente partner. Ha finanziato molte iniziative, ha aperto un consolato nella «capitale» (Erbil), permette ai curdi di utilizzare un oleodotto turco per l’esportazione del loro petrolio nel mondo. Un portavoce del primo ministro Erdogan ha detto recentemente che i curdi dell’Iraq hanno il diritto di scegliere la forma e il nome del sistema politico in cui intendono vivere. Quanto ai rapporti del governo di Ankara con la propria comunità curda, vi sono alcuni segnali positivi. L’esercito turco non ha smesso di dare la caccia alle formazioni della guerriglia curda e d’inseguirla talora al di là della frontiera con il Kurdistan iracheno. Ma ha anche aperto negoziati confidenziali con Abdullah Ocalan, il leader del partito comunista che fu condannato all’ergastolo dopo essere stato catturato in Kenya nel 1999. E ha fatto qualche concessione sull’uso della lingua curda là dove i curdi rappresentano una parte importante della popolazione. È ormai evidente che la battaglia contro i generali laici contava, agli occhi di Erdogan e il suo partito, molto più della «questione curda». È utile ricordare, caro Lucchini, che la base elettorale dell’attuale governo di Ankara è la borghesia anatolica: una classe di piccoli e medi imprenditori sunniti per cui i sunniti curdi sono anzitutto clienti affidabili e promettenti.