Gianni Barbacetto, il Fatto Quotidiano 25/6/2014, 25 giugno 2014
LITI E INCHIESTE, EXPO DELLA DISCORDIA
Expo 2015 è ormai una partita che si gioca su due tavoli. Il primo è quello presidiato dal commissario unico della società, Giuseppe Sala, in gara contro il tempo (anche meteorologico) per arrivare a completare i lavori entro il 1 maggio del prossimo anno. Con segnali di preoccupazione che arrivano anche da Bruxelles e da Berlino. Il secondo è quello della procura di Milano, dove su Expo si stanno conducendo tre diverse indagini, nel clima elettrizzato dal conflitto in corso tra il procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il suo capo, Edmondo Bruti Liberati. Se altri punti di conflitto riguardano il passato (Sea, Ruby, Podestà, Formigoni...), Expo è il presente dell’attività della procura. Il futuro è una parte dell’indagine sul Mose che da Venezia sta arrivando a Milano: quella che riguarda il generale della Guardia di finanza Emilio Spaziante e Marco Milanese, il braccio destro dell’ex ministro delle Finanze Giulio Tremonti. Avrebbero ricevuto soldi promessi a Venezia, ma pagati a Milano, nella sede della finanziaria Palladio di Roberto Meneguzzo, in via Fiori Oscuri, a Brera. Domanda: a chi sarà assegnato questo fascicolo, che riguarda fatti di corruzione, dunque di competenza del dipartimento guidato da Robledo? Intanto allo stesso Robledo è stato tolto il coordinamento delle inchieste sull’Expo, assunto direttamente da Bruti con la circolare che istituisce l’Area Omogenea Expo. E questo è nei poteri del procuratore, tanto più dopo la benedizione che gli è arrivata dall’alto, direttamente dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il Csm ha subito sottoscritto quell’orientameno nella sua risoluzione finale sul conflitto Robledo-Bruti. Ora però a Robledo è stato impedito da Bruti anche di partecipare a due interrogatori su Expo, quello ad Antonio Rognoni, ex direttore di Infrastrutture lombarde, stazione appaltante per alcune gare Expo, e quello ad Angelo Paris, che di Expo era general manager. Gli interrogatori sono stati condotti, giovedi e venerdì scorsi, dai pm Roberto Pellicano, Antonio Filippini e Giovanni Polizzi, del dipartimento di Robledo. Ma, per ordine del procuratore, senza Robledo, che è capo dipartimento e che si è anche co-assegnato personalmente l’indagine.
La decisione di Bruti appare inusuale e probabilmente improponibile, perché secondo quanto stabilito in passato dal Csm è vietata la “revoca parziale” del mandato a un pm. Il capo può togliere, motivando, l’intera indagine a un suo magistrato, ma non può proibirgli soltanto alcuni atti d’indagine, come gli interrogatori. Su questo è dunque possibile che Robledo apra un nuovo fronte di scontro istituzionale con Bruti. Che divamperà attorno all’indagine più esplosiva tra le tre aperte su Expo. Quella coordinata da Ilda Boccassini, con i pm Claudio Gittardi e Antonio D’Alessio, ruota attorno alle cosiddette “architetture di servizio”, un appalto del valore di 60 milioni di euro per realizzare bar, ristoranti, servizi e magazzini, vinto dalla Maltauro. Quella aperta da Robledo, con i pm Pellicano, Filippini e Polizzi, riguarda invece il cuore dell’esposizione universale, l’appalto più consistente – quasi 200 milioni – per realizzare la “piastra”, cioè la base di tutte le strutture e i padiglioni. Vinto a sorpresa dalla Mantovani, che ha scalzato all’ultimo momento il vincitore “predestinato”, Impregilo. Personaggio centrale in tutte le indagini su Expo resta Antonio Rognoni, che aveva annunciato a Robledo una sua volontà di collaborare, spiegando i retroscena di quella gara vinta da chi non doveva vincerla. In cambio, sperava di poter vedere riunificate le diverse contestazioni di corruzione e turbativa d’asta che gli sono state elevate nelle tre diverse indagini in corso, in modo da poter chiedere un patteggiamento o almeno di subire un unico processo. Robledo spingeva per questa soluzione, sostenendo che c’è continuazione tra i diversi reati contestati al manager. La frantumazione della procura e delle indagini ha invece impedito di procedere in questa direzione. Rognoni è già stato rinviato a giudizio immediato per i fatti che riguardano Infrastrutture lombarde, mentre resta sotto indagine (e agli arresti domiciliari) per l’indagine di Boccassini sulle “architetture di servizio” ed è indagato per l’inchiesta di Robledo sulla “piastra”.
Gianni Barbacetto