Chiara Saraceno, la Repubblica 25/6/2014, 25 giugno 2014
QUEI TURISTI PER MOTIVI DI FAMIGLIA
Negli anni Sessanta e Settanta si andava all’estero per abortire. Ora si va all’estero per effettuare la riproduzione assistita con donatore o donatrice – che fino a poche settimane fa era proibita in Italia anche alle coppie ed ora continua ad esserlo alle donne sole – o per fare un Pacs o un matrimonio con una persona dello stesso sesso, o per avere un figlio con la mediazione di una donna che accetta di fare da gestante.
Ci si va anche per ottenere un divorzio in tempi più brevi (cinque anni in media, secondo gli ultimi dati Istat) e con costi inferiori a quelli richiesti dalla macchinosa e punitiva legge italiana. Basta digitare su un motore di ricerca “riproduzione assistita”, “madre surrogata” o “divorzio breve” per essere inondati da offerte “chiavi in mano” dai paesi più vari, molti dell’Est europeo, spesso con la mediazione di agenzie e studi italiani. Non sono più i divi ad andare ad Hollywood per sciogliere un matrimonio finito. Basta recarsi in Romania per ottenere un divorzio a costi contenuti e in tempi brevi, con il vantaggio della garanzia offerta dal Regolamento (CE) n. 2201/2003 del Consiglio del 27 novembre 2003, che garantisce che un divorzio (come un matrimonio tra persone di due sessi diversi) ottenuto in qualsiasi Paese membro sarà automaticamente trascritto nel Paese di appartenenza.
La globalizzazione è anche questo: la possibilità, in alcuni casi informale, ma nel caso del divorzio formalizzata in regolamenti comunitari e internazionali, di ottenere in un altro Paese ciò che non è possibile ottenere nel proprio. Non occorre emigrare, come succede per la ricerca di lavoro. Basta recarsi all’estero per il periodo di tempo strettamente necessario alla procedura, per poi farsene riconoscere gli esiti nel proprio Paese.
Certo, possono rimanere delle zone d’ombra, dei rapporti non riconosciuti automaticamente, come nel caso del matrimonio omosessuale non riconosciuto come tale in Italia, ma che sempre più apre a diritti di coppia anche nel nostro Paese (ad esempio al diritto al ricongiungimento famigliare), o ancora del non riconoscimento dello status di genitore a quello che non lo è biologicamente, sempre nella coppia omosessuale. Tuttavia la possibilità di ottenere in un altro Paese ciò che non è possibile in Italia ha aperto opportunità un tempo sconosciute e riservate a pochi molto ricchi.
La regolazione della famiglia è uno degli ambiti più gelosamente custoditi dagli stati nazionali sul piano formale. Ciò causa non poche difformità da un Paese all’altro su che cosa e chi è riconosciuto come famiglia, con l’Italia che ha, tra i Paesi democratici, una delle legislazioni più restrittive. Eppure, sono molte e inarrestabili le brecce in questa rigidità prodotte sia dai regolamenti comunitari e internazionali, sia dalla capacità delle persone di utilizzare la mobilità geografica e la difformità delle leggi nazionali.
Anni fa l’Irlanda aveva provato ad impedire che le sue cittadine si recassero nella vicina Inghilterra per ottenere un aborto, proibito nel loro Paese. Alla fine dovette cedere. Sarebbe opportuno che anche in Italia la regolazione della famiglia fosse meno ipocrita, negando ciò che invece riconosce se avviene altrove. Eviterebbe così anche di avallare una inedita forma di disuguaglianza tra chi può pagarsi un viaggio, prendersi ferie, informarsi, e chi invece non può. Giacciono in Parlamento troppe proposte di legge, o leggi approvate da una sola Camera, sulla complessa materia famigliare che, dopo una prima fiammata di attenzione, rimangono nel limbo: dalla legge sul doppio cognome a quella sul divorzio breve, alle molte sulle unioni civili ed altre ancora. La corte Costituzionale, pur con qualche ambiguità, ha mandato più volte segnali al legislatore perché si muova. Lo stesso ha fatto la corte di Cassazione ed anche entrambe le corti europee. Se davvero si è preoccupati che ciascuno si faccia il proprio diritto di famiglia à la carte , scegliendo nel menu delle leggi dei vari Paesi, sarebbe il caso che il legislatore italiano assumesse un atteggiamento meno ottusamente, e ipocritamente, difensivo.
Chiara Saraceno