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 2014  giugno 25 Mercoledì calendario

“POSSO SPIEGARE PERCHÉ IL MIO DNA È SU YARA”


BERGAMO.
Massimo Giuseppe Bossetti raccoglie le lacrime e sussurra: «Avvocato, le spiego perché hanno trovato il mio Dna sul corpo della povera Yara». Nell’afoso pomeriggio del carcere del “Gleno” c’è un presunto assassino che piange e prova a convincere uno dei suoi legali — Claudio Salvagni, del foro di Como, il secondo che compone adesso il collegio difensivo assieme a Silvia Gazzetti — della sua innocenza. «Non contesto che le tracce trovate siano mie — rivela Bossetti nel cuore di un colloquio durato oltre un’ora, ed è una prima ammissione — Ma ci sono delle spiegazioni che posso offrire ai magistrati, dei motivi precisi che stanno alla base di questo ritrovamento. Sono questi motivi che mi scagionano».
Comunque stiano le cose, lo scatto difensivo del muratore accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio rappresenta se non uno passo in avanti, certamente una novità. Dentro una partita giudiziaria che si annuncia complicatissima. Molto in salita per il quarantaquattrenne di Mapello. Che però adesso, a sorpresa, mette sul piatto elementi che potrebbero avere la forma di un alibi.
Le “spiegazioni” di Bossetti sono la polpa che cercavano i suoi legali: quanto ricca ancora non si sa perché, al momento, non è dato conoscere su cosa si basino quegli argomenti. Ma sono il perno attorno al quale «costruiremo la strategia difensiva. È per questo — dice l’avvocato Salvagni — che non posso rivelarle. Sarebbe poco strategico. Posso solo dire, e non è dovere d’ufficio, che il mio cliente mi ha ampiamente convinto della sua innocenza».
Insomma: mentre il peso delle evidenze scientifiche grava come un macigno sul destino del presunto assassino di Yara Gambirasio, lui, Bossetti, aggiunge un nuovo pezzo agli argomenti con cui continua a difendersi sfidando i riscontri granitici che l’accusa gli muove contro. «Non discutiamo il lavoro della procura sul Dna — ragiona ancora Salvagni — Né crediamo che su questo siano stati fatti errori. Anche se mi chiedo come sia possibile che dopo tre mesi si trovi tutto alterato e inquinato dagli agenti atmosferici e ambientali (si riferisce al cadavere di Yara ritrovato nel campo di Chignolo d’Isola), e invece il Dna no: perfettamente intatto, pulito... Ma ad ogni modo: quanto mi ha riferito Bossetti — ribadisce il difensore — potrebbe giustificare la presenza delle tracce che sono state rinvenute».
Durante il colloquio, il secondo dopo un primo breve contatto lunedì pomeriggio, l’uomo che secondo la Procura ha spento per sempre il sorriso di Yara con «l’aggravante delle sevizie e della crudeltà», ha riferito al suo avvocato di avere comunque fiducia nella giustizia. Di più: «Sono certo che verrà dimostrata la mia innocenza». Sta meglio Bossetti. La sua frequenza cardiaca è tornata a essere regolare dopo l’impennata di sabato scorso. Un malore per il quale — si apprende ora — era stato ricoverato all’ospedale Papa Giovanni XXIII dove è stato trattenuto fino a tarda notte per accertamenti.
Ieri mattina il presunto killer — sollevato dopo avere appreso dai suoi difensori che la procura ha autorizzato il colloquio con la moglie Marita Comi, colloquio che potrebbe svolgersi già oggi — si è sfogato con gli operatori carcerari che lo hanno incontrato. «In questi giorni in cella mi sento come quel povero Fikri. Estraneo a questa vicenda. E proprio perché sono estraneo spero di uscire al più presto da questa storia». Una speranza che, al momento, appare sempre più flebile. Mohamed Fikri è stato scarcerato perché su di lui pendeva l’errore marchiano di un interprete. Su Bossetti pende l’incontrovertibilità della scienza e della tecnologia. Con un cerchio accusatorio in parte già depositato, e che di giorno in giorno si stringe sempre più. Claudio Salvagni e Silvia Gazzetti stanno decidendo in queste ore se confermare l’orientamento, già manifestato in questi giorni, di avanzare domanda al tribunale del Riesame per la richiesta di scarcerazione. «È ancora una possibilità, vediamo. Allo stato attuale — dicono — Massimo Bossetti è innocente, e faremo di tutto per dimostrarlo».

Paolo Berizzi, la Repubblica 25/6/2014