Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 25 Mercoledì calendario

IL PREMIER TEME IL NEGOZIATO LUNGO “DOMANI SI NOMINA SOLO JUNKER”


ROMA.
Sembrava fatta e invece, proprio sul finale, arrivano i primi intoppi. La nomina di Federica Mogherini a “ministro degli Esteri” dell’Unione è infatti ancora una partita da giocare per Renzi e, nel suk europeo, si sa che nulla è mai scontato. Per questo la strategia italiana, in vista del summit Ue di domani sera a Ypres, è puntare tutto su quello che a Roma chiamano «package deal»: un accordo complessivo sul pacchetto di nomine al vertice, non solo la presidenza della Commissione. «Package deal» contro metodo Van Rompuy, che invece vorrebbe limitarsi alla designazione di Jean Claude Junker a presidente della Commissione. Poi sul resto si vedrà. Un’impostazione inaccettabile per il premier italiano. Che non a caso, parlando in Parlamento, ieri ha scoperto le carte sugli obiettivi italiani: «Chi oggi immagina che il gap di democraticità in Europa si colma semplicemente indicando Juncker o un altro, vive su Marte. Prima di decidere chi guida, decidiamo dove andiamo. E poi facciamo una discussione su un accordo complessivo: non solo il presidente della commissione, ma quello del parlamento, l’alto rappresentante per la politica estera, il presidente del consiglio, quello dell’eurogruppo».
Eppure l’intesa su questo «pacchetto», che consentirebbe a Renzi di tornare da Ypres con in mano la nomina di Mogherini, è lontana dall’essere chiusa. Ieri sera Massimo D’Alema, escludendo di essere in corsa contro Mogherini, ha aggiunto un dettaglio importante: «Mi risulta che giovedì e venerdì faranno soltanto il presidente della Commissione, anche perché la Merkel non vuole parlare delle altre nomine». Il timing dovrebbe essere questo: giovedì la designazione di Junker da parte dei leader, poi il 16 luglio il voto di fiducia del parlamento europeo sul presidente della Commissione e solo a seguire l’indicazione dei singoli commissari.
Vera o meno che sia la versione di D’Alema, è un fatto che rimandare a data da destinarsi le altre nomine mette oggettivamente a rischio la candidatura del ministro degli Esteri italiano. E la espone ai rischi di una trattativa con gli altri paesi. Con la Francia e la Germania che litigano su chi debba prendersi il commissario all’Energia (Hollande vuole piazzarci Pierre Moscovici), il gioco delle prese e delle rimesse potrebbe aprire una fase molto incerta per le sorti della Mogherini. Oltretutto la candidatura della titolare della Farnesina è insidiata anche da un rivale interno. Nonostante la smentita di rito, nei corridoi romani tutti danno per scontato che D’Alema sia (o ritenga di essere) pienamente in corsa. E sembra che stia cercando sostegno nella famiglia dei socialisti europei. Oggi, guarda caso, sarà a Bruxelles insieme al socialista Pascal Lamy per annunciare la sua nomina a suo vicepresidente nella Fondazione Feps. E alla Festa dell’Unità di Roma non ha rinunciato a tirare un calcio al premier: «Non è un buon segretario, sta facendo soffrire il Pd».
Intanto, se le ambizioni di Renzi su “Mr. Pesc” vanno incontro alle prime nubi, sul piano dei contenuti il premier italiano può dirsi soddisfatto. Armando Varricchio, il suo sherpa a Bruxelles, ieri gli ha comunicato che l’ultima versione del documento programmatico da far approvare al Consiglio europeo è oggi molto più vicina all’impostazione italiana «più crescita, più flessibilità». Anche il sottosegretario Sandro Gozi, che in Lussemburgo ha partecipato alla riunione del consiglio affari generali, conferma che «si sta andando nella giusta direzione». Quello che palazzo Chigi chiama il “metodo Renzi”, ovvero prima le cose da fare e poi i nomi, sembra insomma abbia fatto breccia. Tanto che ieri anche Hollande ha voluto far uscire una sua «agenda per la crescita» seguendo l’esempio di quella italiana.
A Montecitorio e palazzo Madama, nel giorno del dibattito sul semestre europeo, ieri erano invece in molti a chiedersi perché Renzi, anziché puntare su un portafoglio di peso, si sia incaponito nel chiedere la poltrona che fu dell’evanescente Catherine Ashton. Alto rappresentante di politica estera di un’Unione che non ha una politica estera. Una spiegazione la fornisce il ministro Maurizio Lupi: «Avendo passato vent’anni con Berlusconi ho imparato a capire Renzi. Visto che l’Italia, per evidenti ragioni, non poteva ottenere un commissario economico, ha preferito puntare sulla poltrona più prestigiosa in termini di visibilità. Così nessuno potrà rinfacciargli di aver portato a casa meno del governo precedente».

Francesco Bei, la Repubblica 25/6/2014