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 2014  giugno 25 Mercoledì calendario

LA FATICA DI ESSERE BUFFON

Una premessa: per esigenze di stampa questo pezzo è stato scritto prima della partita Italia-Uruguay, quindi senza sapere se la Nazionale si sarebbe qualificata per gli ottavi o sarebbe stata eliminata, ma soprattutto ignorando se il portiere e capitano, Gianluigi Buffon, avrebbe salvato la patria, spalancato la porta o sarebbe stato ininfluente ai fini del risultato. E tuttavia quando lo guardo, lo penso, lo sento nominare, inevitabilmente mi affatico.
Con il tempo sono arrivato a concepire la pigrizia come una forma estrema di saggezza, la riluttanza come una virtù. Considero l’eliminazione di impegni, sfide, promesse agli altri e a se stessi una sorta di pulizia che si fa nel guardaroba a 
fine stagione per ritrovarsi più leggeri e presentabili. E penso che darsi un termine sia molto più onorevole e salvifico che farselo dare. Buffon, l’opposto.
Sia chiaro, non parlerò qui di lui come caso personale: la sua vita è solo sua e ha diritto a farne quel che crede senza altrui intromissioni o giudizi. Lo utilizzerò come archetipo, quello dell’uomo che non deve smettere mai, che si ingolfa. Spiegano alcuni: per non pensare alla morte. Altri: per non pensare alla vita, che intanto sfugge come un pallone malefico calciato da un qualche sudamericano.
Buffon ha trentasei anni compiuti, ma è in circolazione ormai da venti, avendo esordito a diciassette. Ha portato il numero 1 e il numero 88, la croce del sospetto e quella celtica. Ha vinto un Mondiale, giocato in 5 (come solo altri due: Matthäus e Carbajal), vorrebbe esserci nel sesto, tra quattro anni. Ha conquistato almeno cinque scudetti (di più secondo il pallottoliere juventino) ed è sceso, per un giuramento d’onore, in serie B con la sua squadra. Gioca al casinò, gioca in Borsa. Possiede un hotel e uno stabilimento balneare. Ha la maggioranza delle azioni della Zucchi-Bassetti, vuole «rilanciare il tessile italiano». Ha avuto una moglie, da cui si sta separando, e da lei due figli. Ha un nuovo amore di cui opportunamente non parla.
Stop. Già a scrivere tutto questo mi sono stancato, perché mi sembrava di infilare un lenzuolo in una bottiglia: obiettivamente, non ci sta. Una vita può contenere molte esperienze, ma non allo stesso tempo.

Ho visto la faccia di quelli che prima di addormentarsi fanno due telefonate identiche, sovrapponendo soprannomi: sembrano furbi, sono stressati. Ho conosciuto l’illusione di quelli che pensano di potersi separare dolcemente riconoscendo che «Ehi, abbiamo fatto un gran bel viaggio insieme!». Ho una notizia per loro: non state cambiando auto. State ferendo qualcuno, in un modo o nell’altro, scordatevi che possa esservi riconoscente: se anche ci passerà sopra, ci vorranno anni e comunque la prima volta che prenderete un caffè insieme da «amici» mettete il cronometro, tempo cinque minuti e vi dirà una cattiveria. Prendete un caffè in quattro minuti, è meglio.
Ho conosciuto tanti che non volevano mai ritirarsi. Facevano gli imprenditori, gli artisti, i giornalisti, i portieri. Si chiedevano: e dopo? Come non ci fosse vita oltre quel lavoro. Quando Zoff ha sentito che Buffon si era ripreso ha detto: «Deve tornare lui, il titolare». E certo: tra Zoff e Buffon hanno ammazzato più vice che una guerra. Ogni nuovo acquisto era una minaccia da disinnescare. Sciatalgie o no, andavano e vanno in campo, a costo di rimediare gol parabili.
Il mondo è pieno di uomini che non si arrendono, anche quando sarebbe tempo. Hanno paura, soprattutto, di essere dimenticati, come se non toccasse a tutti quelli che non sono stati Michelangelo o Leonardo. E pure di quelli, restano le opere, a volte concepite in un attimo.
La vita fugge e vogliamo riempirla, ma nella bottiglia ci sta un liquido alla volta, se metti vino rosso e coca cola fai una bella porcheria. C’è un tempo per ogni cosa e mentre stai tra i pali non puoi pensare alle azioni, ai numeri, ai centravanti avversari, ai bilanci del tessile, alla tua riserva che scalpita, a una donna in tribuna e una che sta a casa.
Gli uomini in bilico prima o poi cadono, da una parte o dall’altra. Resta la speranza che scelgano il lato dove sta la rete di sicurezza, giacché da entrambi non è possibile montarla. È una spietata regola esistenziale, la salvezza è come un rigore: tuffati prima, ma il tiro andrà da una sola parte, hai comunque il 50% di possibilità.

Pausa pubblicitaria (?)
Nella videoteca della mia ospite
a Salvador de Bahia
ho trovato molte perle, tra cui
Gli amanti del Pont-Neuf: retorico, compiaciuto e a tratti memorabile.

Buffon è l’alfiere esemplare di tanti uomini in equilibrio tra passati gloriosi che sfumano al crepuscolo e futuri indefiniti che accendono luci in un orizzonte di cui è difficile, a occhio, valutare la profondità. Tenerli insieme non è possibile: o salvi la rete o salvi il tessile, per così dire. Non è poi complicato. Spesso scambiamo la vita con l’arte di complicarla.