Maria Teresa Meli, Corriere della Sera 25/6/2014, 25 giugno 2014
«PER GLI AFFARI ESTERI MOGHERINI È L’UNICO NOME»
ROMA — «L’Italia ha chiesto l’alto commissariato per gli Affari esteri e il nome di Federica è l’unico in campo: per il governo non ce ne sono altri»: Matteo Renzi è stato chiarissimo con tutti. Non solo con gli alleati internazionali, ma anche con quelli interni. Già, perché anche dentro lo stesso Pd e nella compagine governativa c’era qualche perplessità sul nome di Federica Mogherini.
Ma, come spesso gli accade, anzi, a dire il vero, come sempre gli accade, il presidente del Consiglio ha preso la decisione finale senza farsi fermare dai dubbi di nessuno. Del resto, Massimo D’Alema aveva già capito che nemmeno questa volta era il suo turno. La volta scorsa gli aveva soffiato il posto Lady Ashton. Ora è la ministra degli Esteri italiani che lo «brucia». Ma non è un mistero per nessuno che il premier punta a privilegiare le donne, a dar loro un ruolo che in Italia finora non hanno avuto.
Raccontano che a quella poltrona aspirasse anche Piero Fassino. Dicono che nelle settimane scorse vi fossero stati dei «pour parler» e che il sindaco di Torino ci sia rimasto male, visto che sulla scena europea il suo è un nome conosciuto e di peso. I maligni insinuano addirittura che la sua decisione, in veste di presidente dell’Anci, di cavalcare l’altro ieri la rivolta dei sindaci contro la riforma del Senato per il minor spazio dato ai primi cittadini dei Comuni italiani rispetto al testo originario, sia la sua replica al premier per la mancata promozione a ministro degli Esteri dell’Europa. Come di consueto, comunque, Matteo Renzi tira dritto: «Abbiamo ottenuto un risultato politico notevole: questa volta ci presentiamo con le carte in regola a Bruxelles e possiamo giocare alla pari con gli altri. Nessuno ci può più dettare condizioni come avveniva un tempo». È un risultato, questo, che il premier ha perseguito sin dall’inizio. Ed è questo il motivo che lo ha spinto a far aderire il Partito democratico al Pse. Solo dentro la grande famiglia socialista, il Pd poteva far valere con maggiore possibilità di successo i suoi diritti. Certo, poi, dopo il risultato elettorale incredibile che Renzi è riuscito a ottenere, i rapporti di forza sono tali che il premier può giocare la partita da protagonista.
Per questo motivo conta di riuscire ad avere il posto richiesto per Mogherini. La quale, occorre ricordarlo, è una delle artefici dell’ingresso del Pd nel Partito socialista europeo, ed è quindi conosciuta in quell’ambiente. Tant’è vero che l’altro ieri il ministro degli Esteri olandese (del Pse anche lui) si è subito detto d’accordo sulla candidatura della titolare della Farnesina a Mrs. Pesc. Su questo «via libera» si potrebbe innescare uno scambio di reciproci «favori» politici che distenderebbe il clima nell’Unione. Infatti, se l’Italia spingesse per la candidatura del premier olandese Mark Rutte, leader del Partito popolare per la libertà e la democrazia, questo potrebbe mitigare l’ira di Cameron per la decisione di insediare Juncker alla guida della Commissione Ue.
Dunque si tratta di difficili incastri, che, come si sa, il premier vorrebbe risolvere già nella cena di domani che precederà il Consiglio europeo. In modo da decidere un «pacchetto di nomine» per dimostrare che «veramente» l’Europa «sta cambiando».
Renzi, però, deve riempire anche le altre caselle italiane. Le richieste del nostro Paese sono queste: Gianni Pittella vicepresidente del gruppo del Pse, che in un secondo tempo subentrerà a Schulz alla presidenza, David Sassoli, vicepresidente del Parlamento europeo e Roberto Gualtieri alla Guida della Commissione Econ (la commissione per i problemi economici e monetari). Simona Bonafè, poi dovrebbe essere la capo delegazione degli eurodeputati del Pd. A novembre, quando i commissari si insedieranno, si procederà al «ritocco» del governo italiano. Oltre a provvedere alla sostituzione di Mogherini si potrebbero cambiare altri ministri: si fanno i nomi di Lupi, Giannini e Martina.