Campbell Robertson e Frances Robles, la Repubblica 24/6/2014, 24 giugno 2014
AI FUNERAL PARTY DI NEW ORLEANS, DOVE L’OSPITE D’ONORE È IL MORTO
Nelle ultime settimane Louis Charbonnet è stato tempestato di telefonate da parte di persone desiderose di scoprire come fare per evitare di dover partecipare ai propri funerali in posizione orizzontale. Come la donna che vuole farsi trovare in piedi davanti alle sue pentole da cucina. All’agenzia di pompe funebri di Charbonnet le chiamate hanno iniziato a fioccare lo scorso 12 giugno, in occasione delle esequie della cinquantatreenne Miriam Burbank, la cui salma è stata esposta seduta ad un tavolo fra caschi in miniatura della squadra di football New Orleans Saints, con una lattina di birra Busch in una mano e una sigaretta al mentolo tra le dita. Proprio come aveva trascorso buona parte della sua vita. Dopo che la notizia è stata diffusa da Internet, il signor Charbonnet è stato contattato persino dal direttore di un’agenzia di pompe funebri australiana.
Il funerale della signora Burbank era il secondo del suo genere per Charbonnet e il terzo organizzato a New Orleans negli ultimi due anni. Altri ne sono stati celebrati altrove, e in particolare a San Juan di Porto Rico, dove negli ultimi anni tra i defunti che hanno “posato” per la propria cerimonia funebre si contano un paramedico (esposto al volante di un’ambulanza) e, nel 2011, un emulo di Che Guevara (posizionato con tanto di sigaro tra le dita e gambe incrociate).
La sua agenzia, spiega con orgoglio Charbonnet, è stata fondata 132 anni fa ed è famosa per organizzare parate funebri. «A un funerale di qualche settimana fa ha addirittura partecipato un gruppo di mariachi», spiega l’uomo, mentre tiene d’occhio l’arrivo degli sms scritti da quelli che secondo lui «lo odiano» perché ritengono disdicevoli o addirittura sacrileghi i suoi allestimenti. Ma lui spiega che un sacerdote locale ha approvato.
La moda sembra essere stata lanciata a Porto Rico nel 2008, quando la dipartita del ventiquattrenne Angel Luis Pantojas, vittima di un omicidio, fu commemorata a casa della famiglia con una cerimonia durante la quale il cadavere rimase legato alla parete. La trovata, alla quale fu dato il nome di “muerto parao”, ovvero “morto che sta in piedi”, ebbe un successo immediato, tanto da ispirare i funerali della vittima di un altro omicidio, la cui salma fu esposta in sella a una moto, oltre a quelli del paramedico e dell’emulo di Che Guevara. Quest’anno il cadavere di un pugile è stato sistemato in piedi in mezzo a un ring, mentre quello di un’anziana è stato assicurato alla sua sedia a dondolo.
L’idea del funerale “in posa” si deve proprio al signor Pantojas il quale, dopo aver partecipato all’età di sei anni al funerale del padre, annunciò ai parenti che avrebbe voluto essere visto per l’ultima volta dai suoi cari in piedi. «Non si tratta di trovate buffe o divertenti; le famiglie attraversano una circostanza dolorosa», dice la signora Rodríguez dell’agenzia funebre locale, e allestimenti di questo tipo permettono loro «di soffrire meno, perché vedono il loro caro in una posa che li avrebbe divertiti e che lo fa sembrare ancora in vita».
All’inizio simili funzioni – il cui costo base è di 1.700 dollari – hanno incontrato una certa resistenza. L’amministrazione portoricana si è riunita più volte, ascoltando anche l’opinione del ministero della Salute e dei direttori delle agenzie funebri, prima di approvare nel 2012 una legge che le consente, sempre che la posizione del corpo non sia “immorale”.
Lo scorso aprile sono stati celebrati i funerali di Mickey Easterling, un’esponente dell’alta società nota per le sue feste. «Anni fa – ha spiegato Nanci, figlia della defunta – mia madre espresse il desiderio di poter essere esposta al proprio funerale con una coppa di champagne in una mano e una sigaretta nell’altra». Detto fatto: al loro arrivo alla cerimonia, parenti ed amici sono stati accolti dalle spoglie della cara estinta, messa in posa su un’elegante poltrona della hall di un teatro storico del centro cittadino.
©The New York Times - La Repubblica
(traduzione di Marzia Porta)