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 2014  giugno 24 Martedì calendario

IL BAVAGLIO DI PUTIN

Putin ti sorride in camicia hawayana sorseggiando un cocktail su una spiaggia della Crimea riconquistata. Oppure ti guarda torvo in smoking mentre impugna una pistola con posa plastica alla James Bond. Niente a che vedere con l’aria ispirata di Lenin e delle sue statue che ancora popolano Mosca e quasi tutto il resto del Paese, con i loro pugni chiusi protesi verso il cielo e il profilo fieramente rivolto verso un radioso futuro. E’ questo un culto delle personalità riveduto e corretto, strisciante quasi. Ideato e gestito da uno scrupoloso ufficio marketing incaricato di proiettare sempre più in alto la figura del leader ma «in modo moderno e senza darlo troppo a vedere». Sarà per questo che i celebri grandi magazzini Gum sulla piazza Rossa hanno rivissuto in questi giorni l’antico clima delle infinite code sovietiche per la vendita delle vezzose t-shirt con l’immagine del Presidente in tutte le versioni possibili: pompiere, pilota, cavallerizzo. Anche spia certo, ma ovviamente “buona”.
E sarà sempre per questo che le stesse magliette le vedi indossate sulla passeggiata dell’Arbat un po’ da chiunque: griffatissime ragazze sui tacchi a spillo, anziani nostalgici con una rara copia della Pravda sotto al braccio, perfino da quegli stessi studenti che si vedevano esagitati a tutte le manifestazioni di protesta di qualche anno fa quando davvero sembrava che una forma di rudimentale opposizione stesse per nascere. «Non è che abbiamo cambiato idea. — ti dicono con un certo imbarazzo — Ma la cosa va presa con una certa ironia e poi bisogna ammettere che a molti dà un certo senso di protezione».
Protezione è forse la parola chiave di questa ondata di popolarità che ormai supera l’80 percento e che sta consentendo a Vladimir Putin un potere mai goduto in vent’anni di carriera da leader. La Duma continua a sfornare nuove leggi sempre più liberticide, contro i gay, contro i dissidenti, i giornalisti informati, gli scrittori fuori dalle righe. L’eco del diritto, e perfino del lessico, sovietico diventa sempre più forte. Ma lo
scandalo non c’è. Perfino quelli che Putin definì i “criceti del computer”, i blogger irriverenti e sarcastici che popolano il web russo, sono quasi muti. Alcuni come Aleksej Navalnyj, bloccati dagli arresti domiciliari e da altre intimidazioni poliziesche; altri, preoccupati dalla segretezza di internet che non è più sicura dopo le nuove censorie proposte di legge e la fuga negli Usa del giovane fondatore del Facebook russo (Vkontakte) che provava a difenderla; altri ancora, sinceramente convinti del momento di accerchiamento che la Russia starebbe vivendo.
Perché quello che l’Occidente non ha visto nei giorni della rivoluzione ucraina, della annessione della Crimea e in queste ore di tragica guerra civile nell’Ucraina orientale, è quello che accaduto da questa parte della barricata. Ogni mossa, ogni piccola notizia, ogni grossolano errore da parte di Kiev e dei suoi nuovi alleati, sono stati abilmente trasformati da giornali e tv in una minaccia vera e propria alla Russia e ai suoi sacri valori. Cosa che all’inizio ha esaltato gli animi più predisposti come quello del filosofo nazional bolscevico Aleksandr Dughin o come lo scrittore sovietico Aleksandr Prokhanov. E che via via è arrivata nel profondo dell’opinione pubblica russa, offesa dalle sanzioni americane, dall’informazione spesso parziale dei media internazionali sulla rivolta dei fratelli russi d’Ucraina, e soprattutto eternamente rammaricata dall’essere dipinta sempre e soltanto come la parte cattiva.
Ma a questo nazionalismo d’impeto e all’inevitabile rigurgito di teatrale patriottismo, Putin ha saputo aggiungere l’elemento fondamentale per completare l’opera di normalizzazione del Paese: la paura dei traditori. Fiutando gli umori preoccupati ha lanciato già nel suo storico discorso per l’annessione della Crimea il seme del sospetto: «Una Quinta colonna è tra noi per distruggere la Russia». Allusione a tutti gli oppositori, ai non allineati, ai contestatori, condita da una gaffe inquietante. Come chiamarli, si è chiesto se non «nemici del popolo »? Ma il riferimento a Stalin avrebbe potuto portare critiche fuori luogo, per questo ha chiesto ai suoi speechwriter di trovargli un sinonimo. E quelli gli hanno proposto “nazionaltraditori”.
Scelta infelice perché presa pari pari dal Mein Kampf di Adolf Hitler. Ma in fondo ha scandalizzato solo pochi intellettuali. E’ andata benissimo invece ai nascisti, del movimento giovanile filo Putin che due mesi fa hanno appeso su una via del centro la scritta “nazionaltraditori” sotto a sei gigantografie di noti oppositori: il solito Navalnyj, l’ex premier Nemtsov, perfino il cantante gorbacioviano Andrej Makarevich solista del gruppo rock Mashina Vremeni (la macchina del tempo) cautamente critico con Putin e i suoi.
E la caccia ai nemici del popolo continua con zelante impegno dello staff di Putin e dei suoi entusiasti collaboratori. Una nuova mostra intitolata “I demoni di Mosca” espone le foto livide e con giochi di luce che rendono i volti mostruosi, di personaggi apparsi solo leggermente controcorrente, musicisti, scrittori, poeti, ambientalisti.
Alcuni siti di informazione legati al Cremlino stilano le liste dei media potenziali nazional traditori. Una classifica in ordine di pericolosità l’ha appena fatta “ Politonline”: in testa c’è Radio Eco di Mosca che adesso ha subito un blitz proprietario, è finita sotto il controllo di Gazprom. La seconda è T ele Dozhd (telepioggia) piccola tv via cavo, divenuta importante quando ha trasmesso, unica tv in Russia, le manifestazioni anti Putin del 2013. Adesso è stata sfrattata dai locali sul lungofiume, abbandonata dalle compagnie che la trasmettevano e sull’orlo del fallimento. La terza, non poteva mancare, e Novaja Gazeta, il giornale della Politkvoskaja che ancora continua a chiedere perché non si cerchi il mandante dell’omicidio della propria giornalista.
E mentre si vara l’equiparazione dei semplici blog a testata giornalistica per chiudere le ultime bocche contrarie, si sfornano leggi e proposte di legge senza pudore. Equiparare i giornalisti ai pubblici ufficiali «per aumentarne il senso di responsabilità verso lo Stato. Aumentare le pene per gli “agenti stranieri”, cioè le ong che riscuotono finanziamenti dall’estero a cominciare dalla gloriosa Memorial, passando per l’istituto di sondaggi Levada center e minacciando perfino Wwf e Greenpeace. Riportare la tecnica militare come materia all’Università e le sedute di indottrinamento ideologico care a Stalin nelle forze armate. Lanciare un testo unico di Storia per le scuole approvato personalmente da Putin che continua da un anno a correggere bozze senza aver ancora trovato il modo giusto di raccontare il passato ai giovani russi. Fino alla soluzione finale: la “legge patriottica” che spedisca in galera chiunque contraddica, a discrezione del giudice, i valori della Patria nell’arte, nel cinema, nella letteratura. Putin interviene il meno possibile, lascia fare ai più scatenati fedelissimi del partito. Continua a ripetere che la libertà non è in discussione e che bisogna solo difendersi dagli attacchi esterni e interni. E sorride compiaciuto da migliaia di magliette colorate.
Nicola Lombardozzi