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 2014  giugno 24 Martedì calendario

I NUOVI BOSS TRA BACI E MINACCE SUL WEB “NON TEMO LE MANETTE, MA CHI CANTA”


PALERMO.
I nuovi mafiosi di Palermo hanno trent’anni e si vantano delle loro nobili origini criminali. «Il centenario stiamo facendo », dice Domenico Palazzotto, ufficialmente solo il titolare di un’impresa di traslochi, in realtà già nominato reggente dell’Arenella. Non sospetta affatto di essere intercettato dai finanzieri della polizia valutaria e passa le sue giornate a pavoneggiarsi. «Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto — dice al ragioniere della sua cosca, un altro trentenne, ma senza nobili discendenze mafiose — è lui che ha fatto l’omicidio del primo poliziotto ucciso a Palermo. Lo ha ammazzato lui Joe Petrosino, per conto di Cascio Ferro».
Così, ancora un volta, il passato e il presente di Cosa nostra sono tornati ad essere intrecciati indissolubilmente. Nel 1909, Paolo Palazzotto fu il primo arrestato per l’omicidio del coraggioso tenente della polizia di New York arrivato a Palermo per scoprire le connessioni fra la mafia siciliana e quella italo-americana. Ma Palazzotto senior fu assolto per insufficienza di prove nel giro di due anni, come Cascio Ferro. Cento anni dopo, Palazzotto junior si è invece già condannato a lunga permanenza in carcere per le vanterie in diretta. Anzi, di più: la sua carriera di giovane capomafia è di sicuro già stroncata, perché le confessioni del boss più chiacchierone di Palermo non solo hanno fatto crollare un segreto che durava da cento anni, il segreto sul primo omicidio eccellente di Palermo, ma hanno finito anche per accusare decine di mafiosi arrestati nell’ultimo blitz.
VENTI DI APOCALISSE
A dire il vero, fra una vanteria e l’altra, Palazzotto se l’aspettava questo finale. Con suo cugino Gregorio ci scherzavano su, immaginando i titoli del giorno dopo il blitz: «La prima retata di Palermo... l’Apocalisse, sgominate tutte le famiglie di San Lorenzo... e c’è pure lui l’insospettabile». Fra una risata e l’altra, però, cominciavano a preoccuparsi per davvero.
Anche in modo ossessivo. E vedevano tracce di microspie ovunque. Sotto i quadri, dentro il televisore, dietro il divano di casa, nel cruscotto dell’auto. I loro dialoghi sembrano la sceneggiatura dell’ultima serie dei Soprano, i boss italo-americani sull’orlo di una crisi di nervi, e per di più in cura da uno psicologo. Basta aprire la bacheca Facebook di Gregorio Palazzotto e di sua moglie Daiana per averne una conferma: «Non fanno paura le manette — è scritto in un post — ma chi per aprirle si mette a cantare». È la paura dei pentiti, l’altro spauracchio della nuova generazione dei padrini.
IL BACIO
Cosa nostra siciliana è cambiata velocemente negli ultimi tempi, soprattutto per far fronte alla raffica di arresti, processi e sequestri che si sono succeduti. I vecchi boss sono in carcere, e i giovani rampolli si sono inventati un nuovo modo di essere mafiosi. Fra tanta arroganza e molte paure. Fra vecchi riti e nuove mode. Così, i Palazzotto baciavano in bocca i loro fidati e per Natale distribuivano grandi cassate a tutti gli adepti del clan, poco importa che fossero capitani o soldati appena arruolati. L’importante era sentirsi uniti.
Ma gli arresti che si sono susseguiti in questi ultimi mesi hanno diviso. I capimafia hanno avuto la necessità di avviare una nuova campagna acquisti. E sono entrati in famiglia anche «scappati di casa» e «drogati», come commentava uno dei vecchi di Cosa nostra. Alla prova dei clan, erano davvero impacciati quegli aspiranti boss. Ecco perché scese in campo la moglie di Gregorio Palazzotto, intanto finito in cella pure lui, è la signora che continua a insultare i pentiti su Facebook. Adesso è lei il simbolo della Cosa nostra che ha cercato di coniugare passato e presente. Lei aveva il compito di portare fuori dal carcere gli ordini del marito.
IL PADRINO IN AUTOBUS
Poi, a Palermo, è tornato un autorevole vecchio padrino, Girolamo Biondino, il fratello dell’autista di Totò Riina. E ha cercato di rimettere le cose in ordine, alla vecchia maniera. «Non chiedete il pizzo alle putie», ovvero alle piccole botteghe, ha ripetuto ai giovani rampanti del clan. Faceva chilometri in autobus per andare agli appuntamenti, e faceva vita da pensionato. Ma gli è servito a poco. La sua voce è stata intercettata, e alla fine la sua linea non è neanche passata.

Salvo Palazzolo, la Repubblica 24/6/2014