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 2014  giugno 24 Martedì calendario

UN ARSENALE PRONTO ALL’USO


Stima la Banca Mondiale che in Europa dovranno essere investiti 40 miliardi di euro l’anno per costruire nuove infrastrutture, cui bisogna sommare 60 miliardi per la manutenzione di quelle esistenti.
Solo per il problema dei cambiamenti climatici, secondo il «Centre for European Policy Studies», serviranno altri 50 miliardi di investimenti annui per i prossimi 4 decenni. In totale, secondo le previsioni della «Europe 2020 project bond initiative», il conto per le infrastrutture europee potrebbe essere di 150-200 miliardi di euro l’anno. Cioè 500 milioni al giorno. Quasi 21 milioni l’ora.
Quando si parla di creare le infrastrutture, di entrare nel futuro, questi sono i numeri. Ha quindi ragione il presidente del Consiglio Ue, Herman Van Rompuy, quando spinge per un «mix di fondi pubblici e privati» per rendere il progresso possibile: gli Stati iper indebitati d’Europa difficilmente potranno infatti trovare da soli le risorse necessarie. Ecco perché coinvolgere gli investitori finanziari, quelli che hanno veramente i soldi, sarà sempre più necessario: assicurazioni, fondi pensione e società del risparmio gestito potrebbero partecipare sempre più, attraverso strumenti finanziari ad hoc, alla creazione di un futuro sostenibile.
Gli strumenti per coinvolgerli in realtà già esistono: per esempio i project bond. Si tratta di obbligazioni che vengono emesse per finanziare (o più spesso rifinanziare) un preciso progetto infrastrutturale, e che rimborsano gli interessi e il capitale con i proventi derivanti da quello stesso progetto. Per intenderci: il project bond emesso per finanziare la creazione di un’autostrada pagherà interessi e capitale con i pedaggi dell’autostrada stessa. In un momento come quello attuale, in cui gli investitori di tutto il mondo cercano nuovi strumenti su cui mettere l’abbondante liquidità di cui dispongono, questa potrebbe essere la tipologia di titoli giusta per coinvolgerli.
A livello europeo si stima che il mercato dei project bond possa arrivare a 29-39 miliardi entro il 2020. In Italia il mercato sta iniziando a decollare. Ovviamente i project bond vanno affiancati da altri strumenti più tradizionali: il credito "normale", il consueto project financing, l’equity e l’intervento di soggetti come la Bei, la Sace o la Cassa Depositi e Prestiti. Ma un aiuto al progresso potrebbero darlo. Come già lo danno i fondi infrastrutturali tipo F2i. Il tutto si affianca poi alle varie iniziative europee, come il «Connecting Europe facility» o il fondo infrastrutturale «Marguerite 2020».
Tutto questo dovrà sostenere il grande balzo in avanti. Il problema è che tutti gli strumenti o veicoli che coinvolgono i privati difficilmente possono finanziare la creazione di nuove infrastrutture: spesso servono infatti troppi anni per costruirle, con lungaggini impreviste e costi che lievitano. Senza parlare dei rischi di ricorsi, della corruzione e del pericolo che l’infrastruttura di turno (magari caldeggiata da qualche politico) non serva veramente. Ovvio che gli investitori finanziari stiano alla larga dalle nuove infrastrutture: troppi rischi.
I project bond e i fondi infrastrutturali, dunque, funzionano oggi più sulle opere già esistenti che su quelle da costruire: gli investitori, via capitale o bond, entrano insomma su un’infrastruttura che già produce reddito. Anche questo serve, certo, perché permette di rifinanziare i debiti precedenti e dunque di liberare risorse per nuovi progetti. Ma non basta. Per far decollare veramente la partnership virtuosa tra pubblico e privato serve di più. «Sarebbe positivo – suggerisce Lorenzo Fidato, responsabile project finance di Ubi Banca – se lo Stato garantisse alcuni rischi. Per esempio il rischio traffico relativo alla costruzione di una nuova autostrada: cioè il pericolo che, una volta ultimata, il traffico non sia sufficiente per ripagare gli investitori privati. Questo renderebbe le opere pubbliche più facilmente finanziabili».
m.longo@ilsole24ore.com

Morya Longo, Il Sole 24 Ore 24/6/2014