Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 24/6/2014, 24 giugno 2014
DAL SENATO A MISS PESC
Viene spontaneo dar ragione al leghista Calderoli quando invita Renzi a sbrigarsi a far votare la riforma del Senato, dal momento che è in arrivo la sentenza del processo Berlusconi-Ruby. Il che potrebbe destabilizzare Forza Italia e riversare la tensione sul Parlamento.
Ovviamente non sarebbe la prima volta che il partito berlusconiano subisce gli effetti delle disavventure giudiziarie del suo leader storico. Ogni volta il contraccolpo sembra drammatico e ogni volta, in un modo o nell’altro, se ne esce. In fondo il famoso patto del Nazareno è venuto dopo la sentenza definitiva del processo Mediaset e l’espulsione di Berlusconi dal Senato. Tuttavia è anche vero che il gioco prima o poi sfuggirà di mano. Forza Italia è già oggi un partito stressato e lacerato come non mai. Il capo lo tiene tuttora in pugno, ma è anche vero che egli continua a sperare nella grazia presidenziale. Lo ha ripetuto pochi giorni fa, quasi a ricordare a chi di dovere, cioè al capo dello Stato, quale dovrebbe essere la "ricompensa" per il senso di responsabilità dimostrato al tavolo delle riforme.
In realtà tutti sanno che la grazia non è proponibile in queste circostanze, tanto più se assume un vago sapore di ricatto. Quello che non tutti avevano fin qui considerato era l’ipotesi avanzata da Calderoli: un’altra condanna molto pesante, un’ulteriore umiliazione inflitta all’ex premier. In quel caso, altro che grazia. Sarebbe molto difficile anche solo ricucire la situazione e impedire che l’ala intransigente di Forza Italia, quella che già oggi morde il freno, prenda il sopravvento con l’intento di colpire il convoglio delle riforme. Ecco perché Calderoli offre un buon consiglio a Renzi: stringere per quanto è possibile i tempi dell’approvazione, considerando che il "sì" del Senato in prima lettura non esaurisce di sicuro l’iter e i colpi di scena, ma in qualche modo stabilisce un punto fermo. Peraltro la riforma ha subìto via via alcuni correttivi (come sottolineava fra gli altri Panebianco sul Corriere della Sera), segno che l’impianto aveva bisogno di essere migliorato. Quindi non erano del tutto campati in aria i rilievi del gruppo Chiti. Ragion di più per portare a casa il risultato finché si è in tempo, una volta risolto il pasticcio delle immunità. Permetterebbe a Renzi di dire all’Europa, in sostanza ad Angela Merkel, che le riforme in Italia non sono solo una promessa. E magari di chiedere qualcosa in cambio nel corso del semestre.
La maggiore flessibilità cui ha accennato la Cancelliera è tutto tranne che un elemento certo. Però è meglio di niente nel momento in cui sono da definire le nomine nei vari organismi dell’Unione e la Germania ha bisogno dell’assenso dei maggiori Paesi, compreso quello che sta per diventare presidente di turno. Naturalmente l’avvento di Juncker non è proprio l’ideale per chi vagheggiava di cambiare il profilo politico dell’Europa. E tuttavia Renzi ha già trovato il modo di trasformare una difficoltà in un mezzo successo. Così almeno sarà raccontata ai media la probabile nomina del ministro Mogherini nel ruolo di "miss Pesc", cioè titolare della politica estera.
Era l’obiettivo di D’Alema prima che gli esiti elettorali del 25 maggio consegnassero tutto il potere al presidente del Consiglio. Ma è anche vero che l’Italia poteva aspirare a un portafoglio di peso (ad esempio l’Industria, le politiche energetiche) e invece si accontenta di un posto pieno di grane e privo di poteri reali, visto che la politica estera dell’Unione resta un’opinione. Comunque sia, la nomina sembra fatta per piacere a Renzi: molto mediatica, molto scenografica. E soprattutto affidata a qualcuno che non farà mai ombra a Palazzo Chigi.
Stefano Folli, Il Sole 24 Ore 24/6/2014