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 2014  giugno 24 Martedì calendario

PERISCOPIO


Gianroberto Casaleggio è così restio a mostrarsi in pubblico che, per le interviste, sceglie i programmi dall’Annunziata. Edelman. Il Fatto.



«Questo vuol dire che non potrò dire quello che penso dei magistrati?», ha chiesto Silvio Berlusconi al suo avvocato difensore Nicolò Ghedini. «Bene, vuol dire che alluderò». Agenzie.



Silvio ha otto palle. E d’acciaio. Daniela Santanchè. Agenzie.



Già quando nel dicembre del 2013 Federica Mogherini fu nominata da Renzi nella segreteria del Pd col compito di interessarsi di Europa, Federica si esprimeva con queste iperboli: «Sarà un lavoro enorme e bello». Per poi terminare, lei mamma di due bambini, con un’affermazione stralunata: «Bella ciao è la più bella ninna nanna del mondo». E anche così che Federica è diventata il più giovane ministro degli esteri repubblicana, secondo, nella storia d’Italia, solo al gerarca fascista Galeazzo Ciano, marito della figlia di Mussolini, Edda, che ricoprì la carica a 33 anni. Giancarlo Perna. Il Giornale.



«Vedere Roma che va in tilt ogni volta che piove mi faceva voglia di twittare che questa è la vendetta di Alfredo Romeo. Lui pagava mazzette per avere gli appalti, ma poi puliva i tombini, e Roma non annegava. Ora non so chi c’è, né se paga mazzette. Però non pulisce i tombini e Roma affoga». Lo sostiene Franco Tatò, uno dei più importanti manager italiani (ha guidato Olivetti, Fininvest, Mondadori, Enel, e, da ultimo, la Treccani). Tatò racconta la sua cacciata «poco elegante» dalla Treccani per fare posto a Giuliano Amato. Rivela pure che Romano Prodi avrebbe voluto rinviare l’ingresso dell’Italia nell’euro, provò ad accordarsi con la Spagna ma non ci riuscì anche «se sarebbe stato giusto». Tatò sospende il giudizio su Matteo Renzi: «Aspetto i fatti». Il manager critica anche l’eccesso di spending review di questi anni: «Posso dire che di tagli si muore». Infine dà le pagelle promuovendo Leonardo Del Vecchio, Diego Della Valle e Sergio Marchionne («che invidio») e bocciando sonoramente Carlo De Benedetti: «Lui un grande? A giudicare dai numeri, no. Cosa ha costruito? Mi è chiaro invece cosa ha distrutto, a iniziare da Olivetti...». Franco Bechis. Libero.



Giulio Napolitano, classe 1969, secondogenito del presidente della repubblica, nel 2003, a 34 anni, già beneficava (per la sua leggendaria bravura, s’intende, mica per i lombi e il lignaggio) di due consulenze legali da 15 mila euro dalla giunta romana di Veltroni (la Corte dei conti accertò poi che le sue prestazioni potevano essere tranquillamente svolte dal folto ufficio legale del Comune e condannò la malcapitata funzionaria che l’aveva reclutato a risarcire 10 mila euro). Intanto Giulio era già passato a migliori incarichi, tra consulenze pubbliche (Coni, Federcalcio, presidenza del Consiglio) e fondazioni private o quasi (VeDrò di Letta jr e Arel del duo Amato&Bassanini). Sempre grazie ai meriti scientifici conquistati sul campo, partecipò alla stesura del decreto sulle Authority che, in ultima analisi, fanno capo al Papà Re. Poi fu chiamato dal n. 1 dell’Agcom, Corrado Calabrò, a presiedere l’organo di vigilanza sull’accesso alla rete Telecom. Senza trascurare la travolgente carriera universitaria, all’ombra del suo maestro Cassese, amico del Genitore Regnante. Un’irresistibile ascesa, quella dell’Infante prodige, fin sulla cattedra di Istituzioni di diritto pubblico all’università di Roma Tre. Lì, per puro caso, ha regnato per quattro mandati (15 anni) il magnifico rettore Guido Fabiani, marito della sorella di donna Clio, cognato di Giorgio e zio di Giulio. Marco Travaglio. Il Fatto.



Dispiace entrare al bar e sentire questi ragionamenti: «Gherardo Colombo prende una bella pensione come funzionario dello Stato, poi una bella indennità come membro del cda Rai; anche il presidente della Garzanti libri non penso lo faccia per la canzone di Carnevale (cioè gratis). Poi c’è il teatro (che farà gratis) e le conferenze sulla legalità». A quel punto intervengo in difesa di Colombo: «Per me è giusto che una persona che ha dato tanto allo Stato sia retribuita come un calciatore di serie A». I clienti del bar mi hanno dato ragione. Tranne due che mi hanno chiesto i documenti. Erano dei servizi segreti di una tribù dell’Oceania. Maurizio Milani. Il Foglio.



Una botta da 10 milioni di euro in un solo anno. Ha dovuto svalutare la sua flotta aerea detenuta da Alba servizi aerotrasporti (gruppo Fininvest) e perfino il leggendario Morning Glory, lo yacht a vela di oltre 50 metri che il Cavaliere acquistò da Rupert Murdoch. Franco Bechis. Libero.



Uno degli uomini di punta della Rai si chiama Marco Mazzocchi che, di recente, è salito agli onori delle cronache per via della «toccatina» scaramantica. In studio c’era Paolo Bonolis (che nel suo pre-serale non disdegna che gli venga toccato il fondo schiena) e Mazzocchi, in collegamento, ha fortemente auspicato, tra l’imbarazzo generale, che il rito si ripetesse. Uno degli uomini di punta di Sky si chiama Federico Buffa. Grande commentatore di basket ma anche grande esperto di calcio. Ci ha introdotto in questi Mondiali raccontando storie del passato, come solo un uomo di cultura sa fare. Nei suoi interventi, mai una parola di troppo, mai un’osservazione a sproposito. Mazzocchi è noto per le montature dei suoi occhiali, per certe battute grevi, per una certa faciloneria. Buffa è noto per la sua bravura. Secondo voi, chi dei due fa Servizio pubblico? Aldo Grasso. Corsera.



Contro D’Alema si scatenò anche un militante di Rifondazione, oggi ben più famoso di allora: Nichi Vendola. Nella sua rubrica su Liberazione che aveva come insegna «Dito nell’occhio», sputacchiò Max senza risparmio. Disse di lui che era «gravemente atlantico», «goffamente demagogico», «cinicamente spoglio di dolore», con una «spocchia da statista neofita» e «un parlare frigido e maestoso». Infine «livido come i neon del metrò». Per dirla in soldoni, Baffino d’acciaio se ne fregò. Rammentava di certo un insegnamento del compagno Togliatti: «Chi fa politica, deve avere la pelle del rinoceronte». Giampaolo Pansa, Tipi sinistri. Rizzoli, 2012.



«Andando avanti così chi mai potrà distinguere un uomo da una donna? Sa dirmi, per esempio, di che sesso è quell’individuo che ci viene incontro?». «Ma quella è mia figlia!», risponde l’interpellato. «Ah, non avrei mai potuto supporre che, così giovane, lei fosse già padre». «Ma io sono sua madre!». Gino Bramieri, Barzellette. Euroclub.



È troppo sicuro di sé per avere ragione. Roberto Gervaso. Il Messaggero.


Paolo Siepi, ItaliaOggi 24/6/2014