Sergio Romano, Corriere della Sera 24/6/2014, 24 giugno 2014
LA SECONDA VITA DI BORGESE DALL’ESILIO AL RITORNO IN PATRIA
Ho letto con interesse il suo ricordo di G. A. Borgese. Peccato che il racconto si fermi a metà. Che successe al grande critico dopo il suo arrivo negli Stati Uniti?
Mario Alessandri, Livorno
A proposito della sua risposta su G.A. Borgese, mi permetto di aggiungere che egli fu incaricato, nell’aprile 1918, di creare e dirigere l’Ufficio propaganda di Berna, incarico che tenne fino alla fine della guerra quando lui stesso fece pressioni per essere esonerato e potersi così occupare della questione che più gli stava a cuore, ossia quella adriatica.
Andrea Moroni
Fondazione
Corriere della Sera
Cari lettori,
Grazie per l’interessante notizia sul soggiorno svizzero di Borgese prima della fine della guerra. Non sorprende che ancora prima della fine del conflitto volesse rientrare in Italia. La «questione adriatica», vale a dire la contestata assegnazione all’Italia di Fiume e dei territori che le erano stati promessi con il Trattato di Londra dell’aprile 1915, sarebbe presto diventata «bollente»; e Borgese, dopo avere partecipato alla conclusione del Patto di Roma fra le nazionalità irredente dell’Impero austro-ungarico, aveva una linea politica che intendeva difendere.
Il suo soggiorno americano non ebbe agli inizi motivazioni politiche. Credo che nel momento in cui partì per la California non avesse ancora formato sul fascismo un giudizio definitivo. Quando il regime, per una infelice decisione del ministro dell’Educazione nazionale, ebbe la pessima idea di chiedere ai professori universitari un giuramento di lealtà, Borgese, informato dal proprio rettore italiano, mandò un memoriale a Mussolini. Non credo, salvo errore, che ne esista una copia e non sappiamo se Mussolini abbia risposto. Sappiamo tuttavia che alla fine degli anni Trenta, in un clima ancora più «totalitario», il nome di Borgese venne depennato d’ufficio dalla lista dei professori universitari. Fu quello il momento in cui concepì l’idea di un saggio (Golia e l’avvento del fascismo ) in cui cercò di analizzare il fascismo nell’ambito della storia della penisola: uno sguardo di lungo periodo che rende il libro, ancora oggi, interessante. Il saggio fu tradotto in molte lingue e dette a Borgese notorietà internazionale. Nel frattempo si era trasferito all’Università di Chicago, aveva sposato Elizabeth Mann, la giovane figlia dell’autore dei Buddenbrok , era diventato una personalità di spicco in quella «Repubblica degli esuli europei» che era nata al di là dell’Atlantico. Rimase in contatto con gli antifascisti della costa orientale e fu tra i fondatori della Mazzini Society. Tornato in patria, dopo la fine della guerra, riprese alcune delle sue collaborazioni italiane fra cui quella del Corriere della Sera . Morì a Fiesole nel 1952, stroncato da un improvviso attacco cardiaco.
Ho studiato all’Università di Chicago, ma la sua morte coincide grosso modo con il periodo del mio arrivo e non ho potuto ascoltare le sue lezioni. Ho con lui, tuttavia, un debito di riconoscenza. Sono cresciuto tra persone che raccomandavano ai figli e ai nipoti, per le loro letture di formazione, i cinquanta libri della «Romantica», la collana che Borgese aveva creato per le edizioni Mondadori e diretto fino al 1938. Erano piccoli libri rilegati in tela verde, stampati su una carta particolarmente fine in caratteri che scorrevano molto gradevolmente sotto gli occhi dei lettori. È lì che ho scoperto (cito alla rinfusa) Guerra e pace e Anna Karenina di Tolstoj, L’isola del tesoro di Stevenson, Il rabbi di Bacharach di Heine , Orgoglio e pregiudizio di Jane Austen, il Don Chisciotte di Cervantes, La certosa di Parma di Stendhal, il David Copperfield di Dickens, I dolori del giovane Werther e L’educazione di Wilhelm Meister di Goethe. Capii soltanto più tardi che questi titoli formavano una grande carta geografica della narrativa occidentale e che mi sarebbe servita per viaggiare nella vita.