Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 24/6/2014, 24 giugno 2014
«MIO ZIO UCCISE JOE PETROSINO» LA SOLUZIONE UN SECOLO DOPO
«Noi è da cento anni che siamo mafiosi! — esclama Domenico con orgoglio —. Il centenario stiamo facendo... Lo zio di mio padre si chiamava Paolo Palazzotto... ha fatto pure un omicidio, del primo poliziotto ucciso... A Palermo... Lo ha ammazzato mio zio, lo zio di mio padre... Joe Petrosino, poliziotto americano che è venuto a indagare qua... È sceso dall’America questo, e ci è venuto a cacare la minchia qua... per indagare qua... La mafia... Sicilia... America...».
«Lo so... Qualche volta ti faccio vedere i libri — lo interrompe Nicola sfoggiando tradizioni e letture —. La mia famiglia è nei libri, nei libri di mafia!». Ma Domenico insiste col delitto Petrosino commesso dal prozio: «Lo ammazzò lui per conto di Cascio Ferro... Stiamo parlando, mi pare... 1910... una cosa di queste».
Nicola però non cede, e torna ai propri avi: «Mia nonna ce l’aveva conservato un foglio di giornale, Giornale di Sicilia del ... o L’Ora , forse... 1958, ha cinquanta e rotti anni questo giornale, e c’è scritto “I nuovi capo a Palermo”, e c’è il suocero... (...) Il nonno di mio padre... Giacomino Sciarratta, tutti questi... C’è un libro che si chiama “Duecento anni di mafia” e c’è la fotografia del nonno di mio padre... Poi c’è un libro che si chiama “Da Cosa nasce Cosa”, e parla di mio nonno, di mio zio Franco, del mio bisnonno».
Allora Domenico, non contento di rivendicare alla propria schiatta l’omicidio Petrosino, si butta sulla storia più recente, i processi istruiti da Giovanni Falcone: «In Pizza connection siamo implicati pure con la mia famiglia. Pizza connection, te la ricordi?». Nicola se la ricorda, ma pure lui ha altre carte da giocare: «I primi processi che hanno fatto a Palermo quali sono stati? Il processo Catanzaro, e c’era il nonno di mio padre... Il maxi-processo e c’era mio zio... Quando dice... “ci sono cristiani che hanno i pedigree...”... “No, onestamente... voialtri li avete tutti”».
Domenico di cognome fa Palazzotto (lo stesso del prozio che avrebbe sparato al poliziotto italoamericano), e non ha ancora compiuto 29 anni; Nicola è Nicola Di Maio, ha quasi 33 anni ed è chiamato «il ragioniere», come Bernardo Provenzano. Li hanno intercettati nel febbraio 2013, mentre discettavano di genealogie criminali, e ieri sono finiti in carcere insieme ad altri 93 indagati nell’operazione palermitana «Apocalisse» con cui polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno smantellato gli organigrammi di almeno tre «mandamenti» mafiosi. I due giovanotti ne facevano parte, secondo la Procura, con ruoli importanti; Palazzotto è accusato di «avere diretto la famiglia mafiosa dell’Arenella, nel mandamento di Resuttana, punto di riferimento per le questioni legate la pagamento del “pizzo” e all’installazione di slot machines per conto dell’organizzazione mafiosa»; Di Maio, invece, «si occupava delle estorsioni e dei danneggiamenti prodromici alle stesse».
Li hanno arrestati grazie a pedinamenti e conversazioni registrate, compresa quella in cui sembrano fare a gara su chi possa vantare l’albero genealogico più ricco di boss. Di certo Palazzotto ha un cognome pesante, Joe Petrosino è famoso in tutto il mondo: nato in provincia di Salerno, emigrato da ragazzino a New York al seguito dei genitori nel 1873, divenne un detective promosso per meriti speciali dal futuro presidente Roosevelt; si mise sulle tracce dei gangster di origini italiane a partire dal cadavere ritrovato in un barile di birra, poi fece arrestare i taglieggiatori del tenore Enrico Caruso che lo minacciarono di morte durante la sua trasferta americana, e per risalire alle origini della cosiddetta «Mano Nera» sbarcò a Palermo dove fu assassinato il 12 marzo 1909, in piazza Marina. Il prozio di Palazzotto fu indicato e processato come esecutore dell’omicidio, insieme al presunto mandante «don» Vito Cascio Ferro, il padrino che si muoveva tra le due sponde dell’Atlantico. Furono assolti entrambi, ma dopo oltre un secolo il pronipote ne certifica la colpevolezza. Vere o false che siano le sue informazioni, quel che conta per il giovane rampollo di Cosa nostra è esibire una discendenza assassina di rango, tanto che l’amico è costretto a ribattere coi propri parenti elencati nei libri e nei grandi processi di mafia.
Ma non c’è solo il nome di Joe Petrosino a richiamare la storia, nell’operazione «Apocalisse». Tra le persone arrestate dalla Squadra mobile palermitana spicca Girolamo Biondino, fratello di Salvatore, l’autista di Totò Riina arrestato insieme al «capo dei capi» il 15 gennaio 1993. Da allora Salvatore è in galera, mentre Girolamo ne era uscito da qualche tempo, e fino a due mesi fa scontava un residuo pena in una casa di lavoro. Cercava di comportarsi come un semplice pensionato, ma secondo gli inquirenti gestiva il «mandamento» dei quartieri Tommaso Natale e Resuttana. Un cognome pesante anche il suo, vicinissimo al gotha corleonese, che conferma l’affermazione del procuratore Messineo: «La mafia rinasce dalle proprie ceneri». Anche se è costretta ad affidarsi a giovani con sempre meno esperienza criminale (a volte a dispetto delle tradizioni familiari), oppure a «drogati» o «scappati di casa», come si lamenta un altro intercettato. Chissà che ne avrebbe detto «don» Vito Cascio Ferro, o qualche antenato dei «picciotti» arrestati ieri. O Joe Petrosino.