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 2014  giugno 24 Martedì calendario

LA BATTAGLIA ANTI BUROCRAZIA E IL NODO DEI DOPPI INCARICHI CONSOB, AGENZIA DELLE DOGANE, TESORO E SOCIETÀ CONTROLLATE: I CASI DI MAGISTRATI IN ALTRE FUNZIONI


ROMA — Dubbi non ne abbiamo: se palazzo Chigi si fosse trovato come quasi sempre negli ultimi decenni sotto la tutela dei potenti consiglieri di Stato questo non sarebbe successo. Nella riforma della pubblica amministrazione quell’articolo a proposito dell’incompatibilità fra l’essere un magistrato e ricoprire un altro incarico pubblico nessuno l’avrebbe mai non solo scritto, ma neppure pensato. Ciò non toglie che le bordate, da fuori, siano arrivate lo stesso. E non meno efficaci. Così quella pillola avvelenata si è rivelata ancor più velenosa per l’offensiva renziana contro la superburocrazia.
Rende bene l’idea di che cosa ha smosso ricordare che perfino il consigliere di Stato Donato Marra, segretario generale del Quirinale che ha tempestato di rilievi il provvedimento, avrebbe probabilmente dovuto scegliere fra il suo attuale incarico e la magistratura. Essendo inoltre vicino ai 74 anni di età avrebbe pure rischiato di ricadere in un’altra norma del decreto, anch’essa contestatissima dai diretti interessati, circa il pensionamento tassativo dei giudici più che settantenni.
Dal Quirinale alla Consob: dove il dilemma avrebbe investito il commissario Paolo Troiano, consigliere di Stato, classe 1967. Per arrivare all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, di cui il sessantenne Italo Volpe, magistrato amministrativo già capo del legislativo dell’Economia, è oggi direttore centrale degli affari legali. Con in più un incarico di consulenza della Invimit, società pubblica presieduta dal suo ex collega Vincenzo Fortunato, ex capo di gabinetto dell’Economia per quasi un decennio.
Travaglio analogo sarebbe toccato pure al consigliere di Stato Sergio Santoro, 63 anni, presidente dell’autorità per la vigilanza dei contratti pubblici che dovrebbe essere fagocitata da quella anticorruzione di Raffaele Cantone. Autorità nel cui collegio è stato appena nominato un altro consigliere di Stato: Michele Corradino, il quale si sarebbe trovato anch’egli improvvisamente di fronte a un bivio.
Esattamente come il consigliere di Stato Roberto Garofoli, capo di gabinetto del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, che nel governo Letta era segretario generale della presidenza e in quello Monti guidava lo staff del ministro Filippo Patroni Griffi. Oppure il capo di gabinetto di Beatrice Lorenzin al ministero della Salute, Mario Alberto Di Nezza .
Due casi che fanno intuire come quella norma sulle incompatibilità, se interpretata rigidamente al pari della bozza originaria del decreto, avrebbe fatto rientrare dalla finestra un principio uscito in un baleno dalla porta. Prima ancora del giuramento del governo Renzi era stata ventilata l’ipotesi di una direttiva per inibire a quegli esponenti della burocrazia profondamente innestata nel potere e ben rappresentata dai consiglieri di Stato incarichi di stretta collaborazione governativa.
La proposta non aveva superato il fitto fuoco di sbarramento, come dimostra la presenza di numerosi magistrati amministrativi anche nel governo Renzi. Ma l’ex sindaco di Firenze aveva comunque voluto dare un segnale. Perché se il sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio aveva scelto come capo di gabinetto l’ex direttore del Comune di Reggio Emilia, Marco Bonaretti, Renzi si era spinto a nominare capo dell’ufficio legislativo nientemeno che l’ex comandante della polizia municipale fiorentina Antonella Manzione. Addirittura scioccando la Corte dei conti, che ha registrato la nomina con riluttanza.