Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 24 Martedì calendario

IL JIHAD ARRIVA FINO ALLA GIORDANIA OBAMA PERDE TEMPO CON KERRY


«Ritirata tattica»: il governo iracheno di Al Maliki sfida il ridicolo nel tentativo maldestro di camuffare l’inarrestabile disfacimento del suo esercito a fronte dell’avanzata dei jihadisti islamici dell’Isil. Tra sabato e domenica i militari iracheni si sono ritirati senza combattere da Rawa, Anah e Rutba, come al Waleed e Turaibil, fondamentale posto di frontiera è l’unico con la Giordania, che ora si trova anch’essa sotto minaccia. Ipotesi drammatica. Se si verificasse, questo sfondamento a ovest obbligherebbe ad un intervento militare sicuramente Israele e forse anche l’eternamente riluttante Obama. È infatti evidente che il leader dell’Isil Al Baghdadi non intende buttarsi avventuristicamente su Bagdad, ma sta riuscendo a conquistare tutte le regioni a ridosso delle frontiere con la Siria e la Giordania, per dotarsi di una notevole “profondità operativa” che peraltro gli permette di riempire ulteriormente i suoi già ben forniti forzieri, grazie ai proventi dei grandi flussi di contrabbando di petrolio e merci varie attraverso i varchi conquistati.
È dunque evidente che, come spesso accade nei Paesi arabi, le scenografiche manifestazioni di migliaia di “martiri” sciiti pronti alla morte in marcia verso il fronte che si sono viste nei giorni scorsi a Bagdad, erano solo fanfaronate. La realtà è che il governo del premier sciita Nouri al Maliki non solo si è inimicato i sunniti, ma non raccoglie più neanche la fiducia degli sciiti, col risultato che il suo esercito si squaglia come neve al sole. Gli jihadisti dell’Isil invece sono riusciti a assemblare un fronte sunnita composito, ma compatto. Il suo nucleo è costituito da 5-6.000 jihadisti provenienti dalla Siria (tra loro molti gli europei) che hanno trovato un supporto fondamentale nei 2-3.000 terroristi provenienti dalla Guardia Nazionale di Saddam Hussein, comandati da Ibrahim al Douri, il generale, già braccio destro del rais che da 11 anni mette a fuoco e fiamme il “triangolo sunnita”. A questa recente e temibile alleanza si somma l’accordo temporaneo di centinaia di capi tribù sunniti che sono disposti «a allearsi col diavolo pur di liberarsi dalla schiavitù imposta dagli sciiti». Seguendo uno schema classico arabo questi capi tribù sunniti dichiarano ai corrispondenti europei: «Per ora ci alleiamo e combattiamo con loro; domani, una volta che ci saremo liberati dal giogo degli sciiti, magari li combatteremo con la stessa forza».
Con un ritardo di due anni era infatti da tempo evidente che il caos siriano ingovernato avrebbe contagiato l’Iraq Barack Obama ha inviato ieri il Segretario di Stato J. F. Kerry a Bagdad per provare a convincere Nuri Al Maliki a dimettersi e a permettere la formazione di un governo di unità nazionale con un altro premier, in cui i sunniti e i curdi abbiano largo ed effettivo spazi d’azione. Ma Nuri Al Maliki pare non abbia nessuna idea di cedere a queste pressioni per tre ragioni. La prima è che con lui cadrebbe una cordata di potere familiare che occupa i gangli dello Stato e che verrebbe travolta dagli scandali e dalle non ingiustificate vendette. La seconda è che l’Iran sciita continua a considerarlo un alleato utile e non si fida di un cambio della guardia a Bagdad. La terza ragione è che sarebbe costretto ad ammettere che la condanna a morte con cui ha obbligato all’esilio in Turchia il leader politico dei sunniti, il già vicepresidente della Repubblica al Hashemi, era frutto -come era di una vergognosa montatura. Un nuovo governo unitario a Baghdad infatti non è concepibile senza il ritorno al potere di al Hashemi, unico in grado di tentare di recuperare i capitribù sunniti. A questo si sommano i pessimi rapporti che al Nouri ha con i curdi, che pure sono i soli che hanno dimostrato sul campo di essere in grado di contenere l’Isil. Un anno fa al Nouri ha mosso contro di loro la Guardia Nazionale e ancora pochi giorni fa minacciava tuoni e fulmini per impedire loro di commerciare direttamente con la Turchia il petrolio estratto in Kurdistan.
Dunque, Kerry ha un compito ben poco facile, aggravato dalle accuse che l’Iran, e lo stesso al Nouri, elevano contro l’Arabia Saudita e il Qatar alleati di Washington di aiutare e finanziare l’Isil. Accuse probabilmente fondate, a cui Kerry, il più ininfluente segretario di Stato della storia recente, non può contrapporre nulla. Il caos creato dall’incompetenza di Obama rende il Medio Oriente tanto esplosivo quanto ingovernabile.