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 2014  giugno 24 Martedì calendario

I COMUNI SALVANO 5.500 POLTRONE


Un groviglio di partecipazioni (oltre 118mila), ben 6.469 società e una resistenza a qualsiasi tentativo di ridurre questo impegno finanziario. Tanto più che i piccoli comuni (sotto i 30mila abitanti) avrebbero dovuto tagliare entro settembre del 2013 l’esposizione in società controllate, partecipate, aiutate. I sindaci quelli dei grandi comuni che dovrebbero riorganizzare la presenza, come quelli delle piccole cittadine che avrebbero dovuto alienare almeno il 50% delle partecipazioni entro il 2013 proprio non ne vogliono sapere di «liquidare o cedere» le quote che possiedono di queste società che si occupano un po’ di tutto: dai servizi pubblici locali, ma anche dell’approvvigionamento elettrico, idrico dello smaltimento dei rifiuti, del trasporto pubblico, così come dell’istruzione e della gestione dei servizi sanitari di prossimità. Ma non basta: ci sono società partecipate dei sindaci che si dedicano all’allevamento, alla realizzazione di tessuti e oggetti di arredo, così come alla gestione dei programmi software e all’implementazione dei servizi turistici. Insomma, in casa dei sindaci di certo non si sono fatti mancare la fantasia nel destinare risorse pubbliche alla creazione di società (o all’ingresso in aziende già esistenti). Il Cerved società di servizi per banche e finanziarie ha analizzato (al giugno 2014), quanti comuni abbiano effettivamente tirato fuori i piedi da società (come prevedeva la legge 122/2010) entro il 30 settembre 2013. Ebbene: la norma prevedeva che quasi la metà dei comuni sotto i 30mila abitanti avrebbero dovuto alienare o vendere ben 1.472 società. Peccato che a giugno di quest’anno solo poco più di 300 risultanto in liquidazione e solo una trentina sono «effettivamente cessate». Insomma, solo il 4% delle società sono state chiuse o cedute. Questo giardinetto di società che offre lavoro complessivamente ad oltre 284mila addetti fa troppo gola a sindaci di qualsiasi colore per disfarsene. Nelle partecipate ancora operative ma da cedere sono assegnate 5.559 cariche in consigli di amministrazione. Che dovevano essere eliminate lo scorso settembre, come la legge dovrebbe imporre. Infatti, a ben guardare la norma del 2010 prevede una via d’uscita. E proprio il dossier del Cerved ne parla come di un escamotage: «Per il rispetto dell’obbligo era però sufficiente la deliberazione del consiglio comunale di avvio della procedura di liquidazione o di cessione delle quote o delle azioni, e non l’effettiva dismissione della partecipazione». Dismissione che avrebbe dovuto riguardare proprio «le partecipazioni in società in perdita o da ricapitalizzare». L’aspetto bizzarro è che in più della metà delle oltre 5mila partecipate, i membri dei consigli di amministrazione sono più o meno sei volte tanto il numero dei dipendenti (14.871 amministratori per soli 2.671 dipendenti). Un’assurdità che dovrebbe avere le ore contate.
In realtà, non sono soltanto i sindaci dei paesotti a tenere stretta la cassaforte sempre che la Legge di Stabilità 2014 non riesca definitivamente ad imporre la liquidazione pure i signori sindaci delle grandi città (da Roma Milano, da Napoli a Palermo e Bologna), quando si parla di società controllate sembrano fare orecchie da mercante, pure nel rendere note i compensi degli amministratori: «Gli esiti delle verifiche condotte dall’Autorità Anticorruzione (Anac) sui siti istituzionali dei grandi Comuni e dei ministeri fanno emergere, infatti, lacune nei rapporti predisposti dagli enti». In sostanza, dall’attività di vigilanza dell’Anac negli ultimi mesi sui grandi comuni è saltato fuori che il « Comune di Milano, come quello di Torino, hanno pubblicato dati incompleti sulle società partecipate», idem Firenze. per non parlare di Palermo, Trieste e Bari. Raffaele Cantone, commissario anticorruzione appena mominato, ha dato tempo fino al 16 settembre per fare chiarezza. Anche sui compensi degli amministratori che non sempre fanno capolino nei bilanci.