Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  giugno 24 Martedì calendario

«I MIEI RITRATTI DELLA MEMORIA»


L’ultima foto del suo magnifico libro Visti&Scritti ha pensato di dedicarla al suo portinaio di Milano, faccia rugosa, occhi buoni. Ha da poco compiuto ottant’anni: «E tutti in famiglia gli hanno ripetuto per l’ennesima volta che è ora di smettere... È vero, ma è vero soprattutto che la sua vita è il lavoro. Non ha potuto costruirsi un’alternativa. Quest’uomo mi ha insegnato molto. Ogni volta che i miei malanni e le mie stanchezze prendono il sopravvento penso a Edoardo, e questo mi aiuta a rimettere le cose nella giusta prospettiva».
Eccolo, uno dei tanti ritratti allo specchio di un maestro della fotografia, Ferdinando Scianna, settant’anni, di Bagheria. Il suo antico, elegante accento siciliano mentre ti parla ha il sapore di salsedine e di sigaro, e se sfogli il suo grande “album di famiglia” ti verrebbe voglia di averlo conosciuto quest’uomo quand’era ragazzino e la macchina fotografica per lui era già la stilografica dello sguardo. Ferdinando Scianna sarà a Roma oggi all’Auditorium Parco della Musica (alle 21 al Teatro Studio, poi alle 22,30 firma copie nella libreria Notebook dell’Auditorium) per parlare del suo straordinario libro, edito da Contrasto, ma soprattutto per un incontro d’eccezione «che ho fortemente voluto. Perché lui non è soltanto uno che di mestiere recita ma riesce a far coincidere la lucidità storica con la materia del suo essere attore». Con Toni Servillo, l’ormai mitico Jep Gambardella della Grande bellezza da Oscar «parleremo di cinema, teatro e ovviamente di fotografia di cui è grande conoscitore. Lo conobbi un giorno mentre recitava un testo di Eduardo, me lo fece incontrare Mimmo Palladino. Con Toni abbiamo sempre discusso molto e questo ci ha aiutati a farci comprendere».
In “Visti&Scritti”, Scianna riesce con l’abilità di uno scrittore dal sapore neorealista a dare corpo ad un sogno che rivendica quasi come diritto: «Ho 70 anni e fotografo da 50. Queste cose qui si fanno solo ora e volevo dare vita ad un libro di scritti e ritratti che non fosse soltanto una silloge di immagini ma il racconto di un lungo dialogo. È un volume autobiografico e le persone che ci abitano dentro appartengono alla mia piazza». Nella piazza ci sono tutti: i volti anonimi e le facce della storia, da una Donna con bambino ritratta a Licata nel ’67 ad un Venditore di coltelli di Bagheria (1982) fino alla schiera degli illustri, Leonardo Sciascia e Rafael Alberti, Jean-Luis Barrault e Jorge Luis Borges, Monica Bellucci ed Enzo Ferrari, Emilio Greco e Renato Guttuso e Montale, Monicelli, Rosi e Roland Barthes, Scorsese e Skàrmeta...
Scianna, cosa è rimasto della Bagheria dell’infanzia negli “scatti” della sua vita?
«La rivendicazione dell’identità è un fatto inevitabile. Andai via dalla Sicilia a 22 anni quando la mia educazione sentimentale si era ormai già arricchita della cultura, dei sapori, delle luci dell’isola. Con tutto ciò alla fine misuri la tua esistenza e la fotografia mi ha insegnato che gli altri siamo noi e che il nostro destino è nelle mani di chi incontriamo».
Due personaggi su tutti hanno plasmato la sua formazione: Leonardo Sciascia e Cartier Bresson.
«Sciascia lo incontrai quando avevo 19 anni. Lui mi trattò da grande e apprezzò le mie foto sulle feste popolari a Bagheria. È lo scrittore, l’intellettuale che mi ha donato una prospettiva, che mi ha strutturato. È stato un maestro, un padre, un amico. Mi disse, una volta, che sulle persone ci si può scrivere anche una tesi di laurea. Bresson è arrivato molto tempo dopo, una vicinanza che è durata oltre vent’anni».
Nei 350 scatti in bianco e nero contenuti nel suo libro, accompagnati dalle parole di un taccuino personale, si avverte il peso della memoria...
«Perché la parola “memoria” per me è sinonimo di “fotografia”. Per la prima volta con l’invenzione della fotografia abbiamo potuto conoscere le facce dei nostri nonni. Siamo stati a tu per tu con le tragedie della Storia e con le sue parentesi dolci, come le gambe della Monroe. Ogni foto costruisce memoria, fosse anche per un solo istante».
Qual è il ritratto che le sta più a cuore?
«Sentimentalmente sono legato ad una foto che scattai a Sciascia nel ’64 a Racalmuto. Nella parrocchia di Sant’Anna, davanti all’urna con il Cristo morto, vidi due bambine, mi avvicinai fulmineo e con la coda dell’occhio vidi Leonardo che si avvicinava. Aspettai che si inserisse nella scena, poi si voltò verso di me e scattai».
E accadde qualcosa...
«Cinquant’anni dopo ricevetti una mail da una certa Antonietta La Mantia. Mi disse che avrebbe voluto tanto una stampa di quella foto. Era lei una delle due bambine ritratte con Sciascia. L’altra, mi disse, era morta. E come scrivo nel mio libro, appresi quella notizia “con un dolore di lutto. Perché quelle due bambine le ho sempre sentite parte della mia famiglia”».