Camilla Conti, Il Messaggero 24/6/2014, 24 giugno 2014
LA FINANZA ISLAMICA IN ITALIA SOLO CON I SUKUK BOND
MILANO Nel mondo ci sono 62 fondi sovrani in cerca di investimenti per i circa 5mila miliardi di dollari in cassa. Una massa enorme di liquidità della quale per il momento l’Italia ha visto solo le briciole, visto che nel nostro Paese hanno finora investito solo 2 miliardi. Perché la Mecca degli affari snobba l’Italia? «Scontiamo un notevole ritardo rispetto ad altri Paesi europei sul piano normativo», sottolinea Stefano Padovani, socio dello studio legale NCTM che oggi parteciperà a un convegno milanese sul tema. Il gap, secondo Padovani, va colmato al più presto, perchè il rischio di perdere una grande occasione è forte. Del resto, i numeri sono imponenti: secondo l’ultimo rapporto Thomson Reuters in collaborazione con DinarStandard, il valore degli asset della finanza islamica al mondo è cresciuto da 150 miliardi di dollari di metà anni Novanta a 1,6 trilioni di fine 2012. Nel 2013 si stima che la cifra abbia raggiunto quota 1,9 trilioni, grazie al business trainato dalle banche islamiche e dal mercato sukuk (i bond islamici) globale, con una crescita del 15-20%. Non solo. Il potenziale degli asset bancari islamici nei mercati di riferimento è di circa 4,1 trilioni di dollari. Ovvero, il 3,3% delle attività creditizie mondiali. Eppure, nonostante abbia messo il piede sull’acceleratore negli ultimi anni, la finanza islamica agisce prevalentemente in Medio Oriente e nell’Asia Orientale. L’Europa resta una meta ancora limitata, con l’eccezione del Regno Unito, primo paese al di fuori del mondo musulmano a finanziarsi con bond islamici. E l’Italia? Nonostante la presenza di circa 1,3 milioni di residenti musulmani nel nostro Paese e la sua posizione geografica che ne fa un ponte naturale tra Europa e mondo arabo, il fenomeno della finanza islamica è in larga parte sconosciuto benché sia da tempo oggetto di studio ed osservazione. In termini molto generali, la finanza islamica pone due ordini di problemi: il primo riguarda l’insediamento in Italia di banche islamiche, ossia che operano esclusivamente secondo i precetti della Shari’ah. In Italia, infatti, non esiste una normativa che prevede l’apertura di banche islamiche, di cui invece altri Paesi europei, come Francia, Germania, Regno Unito e Svizzera, si sono dotati. Il secondo problema riguarda la contrattualistica e il diritto tributario relativi alla finanza islamica. La questione è complessa: affinché i sukuk bond possano essere «sharia compliant», devono essere certificati da un organo interno o da un ente esterno di certificazione islamica che ne garantiscano la conformità al dettame religioso. La caratura degli strumenti finanziari e la loro stessa definizione come tali, non è quindi data soltanto dagli aspetti tecnico-giuridici né dalla sola assenza di interessi, quanto soprattutto dall’autorevolezza e dall’affidabilità religiosa e giuridica di chi compone l’organo interno o l’ente esterno di certificazione. Nel Regno Unito queste istituzioni esistono già, sono operative a tutti gli effetti e molto autorevoli. In Italia invece non ci sono ancora e sarebbe difficile pensare che i titoli di stato italiano possano essere certificati da soggetti stranieri.