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 2014  giugno 24 Martedì calendario

L’INGEGNERIA DELLE SERIE TELEVISIVE


Le serie tv sono il piatto forte del piccolo schermo. Raccontano storie appassionanti, mescolano generi diversi, possono durare anni e non hanno più nulla da invidiare al cinema: professionisti come Martin Scorsese, Steven Spielberg, Robin Williams, Glenn Close, Kevin Spacey e molti altri hanno scelto di lavorare in tv con budget da capogiro, interpretazioni magistrali ed effetti speciali di alto livello. Le serie offrono ai loro protagonisti anche una visibilità con la quale il cinema, oggi più che mai, non può competere. Tanto che i futuri progetti per le trasposizioni televisive di Fargo, il film dei fratelli Coen, di Dal tramonto all’alba (di Rodriguez con Clooney e Tarantino) e di About a Boy (dal romanzo di Nick Hornby, già portato al cinema da Hugh Grant) sono fra i più attesi delle prossime stagioni.
Come i radiodrammi a puntate, i chapterplays (i film a episodi) e le strisce a fumetti, le serie tv nascono dalla tradizione del romanzo d’appendice, che veniva pubblicato sui giornali con appuntamenti settimanali. I film del Cavaliere Solitario, le opere letterarie pubblicate a puntate (I tre moschettieri. Guerra e pace) e i radiodrammi firmati da Eduardo De Filippo, Vasco Pratolini e Primo Levi sono gli antenati delle serie tv. Nonché la dimostrazione che la serialità ha conquistato il grande pubblico fin dalla sua comparsa.

DALL’IDEA AL SET. Ogni serie tv nasce da un’idea. Che può essere originale (XFiles) oppure tratta da un film (Terminator), da una saga letteraria (Il trono di spade, True Blood), dal remake di una serie del passato (Battlestar Galactica) o di un altro Paese (Homeland e la versione Usa di una serie israeliana). Il creatore della serie sviluppa la sua idea in quella che in gergo si chiama “bibbia”: un documento che racconta a grandi linee l’ambientazione della vicenda e gli snodi narrativi più importanti, con una descrizione dei personaggi principali. Se la bibbia convince i produttori e il network (la rete interessata all’acquisto della serie), viene prodotto l’episodio pilota (pilot), che mette in scena ambientazione e personaggi per mostrarne le potenzialità.
A volte il pilot trasmesso in tv resta lo stesso presentato al network, altre volte viene rigirato con un budget più consistente e magari con un cast diverso (non è rara la sostituzione di uno o più attori per i ruoli definitivi). Ci sono pilot costosissimi – come quello di Lost: quasi 14 milioni di dollari – e pilot che costano poche migliaia di dollari (come nel caso di Friends), sufficienti a convincere i produttori e a trasformarsi in serie di culto. Anche il cast fa la differenza: alcune serie spendono molto per il cachet di attori famosi; altre hanno dei costi tecnici (riprese, effetti speciali) molto alti, quindi scelgono volti nuovi.

SÌ, MA DOVE? La scelta delle location è fondamentale: girare a New York è più costoso che farlo a Los Angeles, dove gli studi sono più grandi e più numerosi. Girare in Canada (come molti fanno da tempo, celebre il caso di X-Files) e ancora meno costoso: la British Columbia offre paesaggi variegati con costi minori per gli spostamenti. Ci sono poi le eccezioni: Damages venne girata a New York per volontà di Glenn Close, che nei panni dello spietato avvocato Patty Hewes non voleva lavorare molti mesi lontano da casa. Una puntata richiede infatti in media fra i 6 e gli 8 giorni di riprese e si gira per circa 4-5 mesi l’anno (da maggio-giugno a settembre per le serie trasmesse a partire da ottobre, per esempio).
Le riprese (fase di “produzione”, realizzazione vera e propria della serie) vengono precedute dalla stesura e dall’approvazione delle sceneggiature (fase di “pre-produzione”) e seguite dalla “post-produzione”: montaggio (si assemblano le varie scene, non sempre girate in ordine cronologico per questioni di location), inserimento degli effetti speciali digitali e della colonna sonora, prezioso commento che aggiunge emozione alle scene. Come nei film, questa può prevedere brani originali (celebri quelli di American Horror Story) oppure servirsi di brani noti (Grey’s Anatomy basa le sue colonne sonore sulle hit del momento, con un complesso sistema di diritti musicali ceduti dagli artisti alla Abc). Ci sono poi le serie che inseriscono la colonna sonora direttamente nella trama (come nei musical Saranno famosi e Glee).

I TRUCCHI DEL MESTIERE. Le serie tv hanno un grande vantaggio rispetto ai film: hanno a disposizione molto più tempo per appassionare il pubblico e sfruttare il meccanismo dell’identificazione, uno degli strumenti più preziosi a disposizione degli sceneggiatori, che si ottiene attraverso un accurato lavoro di scrittura. La sceneggiatura delle serie non è infatti “fantasiosa” come si è portati a credere: segue regole precise, a cominciare dall’inserimento delle pause pubblicitarie, che normalmente sono 2 a episodio, ma possono essere aumentate dalle reti durante la messa in onda.
Le pause previste precedono spesso un cliffhanger, un colpo di scena, che lascia lo spettatore col fiato sospeso e lo spinge a restare sintonizzato. Un trucco usato anche per concludere gli episodi o le stagioni, stimolando la curiosità di chi guarda e non potrà fare a meno di “tornare”.
La sceneggiatura televisiva ha adottato tutte le tecniche cinematografiche a disposizione degli scrittori. Fra le più usate c’è il time-lock, una corsa contro il tempo: il personaggio ha un limite di tempo per neutralizzare una minaccia, che può essere il timer di una bomba da disinnescare ma anche il tragitto da percorrere per arrivare in tempo alla stazione e impedire all’amata di andarsene.
Anche il teaser, che precede la sigla, è prezioso per la scrittura: è una premessa che deve suscitare curiosità nel pubblico e creare tensione. Celebri quelli della pluripremiata serie Breaking Bad, storia di un insegnante che quando scopre di avere il cancro inizia a produrre e spacciare droga per lasciare più denaro alla sua famiglia. Walter White (Bryan Cranston) in quasi tutti i teaser si trova in una situazione apparentemente senza uscita. Dopo la sigla lo spettatore viene messo al corrente di come si sia cacciato in quella situazione e di come ne uscirà. I mezzi più potenti della sceneggiatura televisiva, però, sono altri: il Viaggio dell’Eroe e il Paradigma Hollywoodiano (o Struttura in Tre Atti). Il primo, teorizzato da Chris Vogler, fa riferimento al mito e si lega strettamente alla teoria degli archetipi: suggerisce che ogni storia preveda uno o più protagonisti (eroi) che compiono un viaggio, reale o simbolico, verso un mondo straordinario che cambierà loro la vita. Il Paradigma Hollywoodiano invece individua tre fasi per raccontare una storia. L’impostazione (set up) introduce i personaggi principali, stabilisce i presupposti drammatici, crea la situazione. Nel secondo atto (confronto) il protagonista affronta gli ostacoli che lo separano dal suo obiettivo: un viaggio (reale o simbolico), la conquista di un amore, l’emancipazione dai genitori o altro. Il conflitto, fondamentale in ogni storia, è strumentale in questa fase per appassionare uno spettatore ansioso di scoprire se l’eroe riuscirà nel suo intento o avrà la peggio. Nel terzo atto (risoluzione) la storia si conclude: l’eroe vivrà o morirà, avrà successo o perderà tutto, troverà l’amore o resterà solo. Il Paradigma Hollywoodiano nelle serie tv può essere applicato a un episodio, a una stagione o a un’intera serie. Sia il primo che il secondo atto si concludono generalmente con un colpo di scena. Facciamo un esempio: in una puntata-tipo di Dr. House, nell’impostazione (atto I) una persona ha un malore e viene portata in ospedale, dove Gregory House inizia a indagare insieme al suo staff sulla misteriosa malattia che l’ha colpita. Il conflitto (atto II) prevede di solito contrasti all’interno dello staff e con i parenti del paziente (o col paziente stesso). Alla fine del secondo atto, con un colpo di scena, viene fatta la diagnosi corretta. La risoluzione (atto III) prevede la messa in atto della cura individuata, la risoluzione dei conflitti nello staff o con i parenti e la dimissione del paziente.

LA MODA DELL’EPOCA. I generi sono tipi di storie codificate, formule che ripropongono atmosfere, conflitti e personaggi simili. Il protagonista di un western, per esempio, è affascinante, ai limiti del fuorilegge; quello di un noir è cupo e ambiguo; quello di una commedia simpatico e sfortunato. I generi più popolari del piccolo schermo sono, da sempre, il medical drama (ambientato in ospedale), il legal drama (che narra le gesta di avvocati e giudici), il poliziesco e la sitcom (di durata inferiore rispetto agli altri generi: 20 minuti contro 45).
Fondamentale, poi, è il periodo della produzione. Gli Anni ’50 videro il successo della commedia e delle serie casalinghe e rassicuranti come Lucy ed io. Gli Anni ’60 furono quelli della fantascienza (Star Trek cambiò la storia, non solo della tv); gli Anni ’70 furono quelli del poliziesco (Starsky & Hutch, Kojak); gli Anni ’80 privilegiavano l’avventura (A-Team, Hazzard); negli Anni ’90 la tv d’autore (I segreti di Twin Peaks) diede il via al mix di generi. Oggi tutte le serie di maggiore successo sono costruite così. Il trono di spade, per esempio, mescola fantasy, storia, avventura e dramma.
In ogni caso, le serie tv ci stregano ogni volta con personaggi e scelte narrative originali, con il preciso intento di suscitare le nostre emozioni. Per questo non riusciamo a smettere di seguirle.
Chiara Poli