Riccardo Redaelli, Avvenire 24/6/2014, 24 giugno 2014
COSI’ IL MIRAGGIO DEL CALIFFATO INSANGUINA IL MONDO ISLAMICO
Marx non ce ne voglia se parafrasiamo la sua celebre frase, ma davvero «Uno spettro si aggira per il Medio Oriente: quello del califfato». E in questo caso si tratta proprio di un fantasma della storia, dato che il califfato è la forma politica par excellance dell’islam delle origini. Morto il profeta Maometto, la ummah (la comunità dei credenti) scelse, dopo aspri dibattiti, di affidarsi a un Vicario (khalifa in arabo, per noi califfo), che avrebbe dovuto guidare il nascente impero arabo-musulmano tanto dal punto di vista politico quanto religioso, sia pur privo di poteri soprannaturali o teologici. Un uomo normale, insomma, che aveva il compito di comandare le armate in battaglia e guidare la preghiera.
La storiografia islamica considera il periodo di Muhammad e dei quattro califfi ’ben guidati’ (622 -661 D.C.) come l’età dell’oro dell’islam, anche se qualcuno - con una punta di malizia - ricorda come di quelle quattro guide, ben tre finirono ammazzate. L’ultimo era Ali, cugino e genero di Maometto, avendo sposato la sua adorata figlia Fatima. È per sostenere l’esclusivo diritto di Ali e dei suoi discendenti a succedere al Profeta come imam, che gli sciiti si separarono dalla maggioranza dei sunniti, con una divisione che ancora oggi lacera il mondo islamico.
Dopo Ali vi furono i califfati degli Omayyadi (661-750) e il lunghissimo periodo degli Abbasidi (750-1258), il cui califfo più famoso, Harun al-Rashid, è stato celebrato nelle novelle delle Mille e una notte. Ma prima ancora della sua scomparsa per mano dei Mongoli, che sterminarono gli ultimi Abbasidi durante il sacco di Baghdad, il califfato per secoli era divenuto un guscio vuoto, privo di poteri reali. Da allora non vi è stata più una guida unitaria, sia pure formale, della ummah. Fu solo dopo la fine della prima guerra mondiale che Mustafa Kemal Ataturk pensò di trasformare il deposto Sultano ottomano in un nuovo califfo; così da trasformare il suo potere da politico a guida religiosa o, secondo un’interpretazione più cinica, per trovare un’occupazione al deposto sovrano. Ma fu un esperimento fallito dopo pochi anni.
UN SECOLO DI NAZIONALISMI FALLIMENTARI
Lungo tutto il XX secolo, il califfato rimase un’ipotesi d’accademia, priva di qualsiasi prospettiva politica. Del resto, quello è stato il secolo degli stati nazionali e della crescita, talora malata, di un nazionalismo geloso delle proprie frontiere e a lungo sospettoso di ogni idea sovra-nazionale (come sappiamo bene noi europei). Il Medio Oriente era stato ridisegnato malamente nel 1918, con la creazione di stati fragili che dovevano servire a calmare gli appetiti coloniali di Francia e Gran Bretagna, più che trovare soluzioni razionali all’intrico di genti, etnie e religioni di quella regione. Non sorprende quindi che l’idea di stato-nazione abbia partorito guerre, colpi di stato, movimenti indipendentisti, senza che il Medio Oriente abbia potuto trovare una sua stabilità.
Le delusioni seguite all’indipendenza dalle potenze coloniali e il fallimento dei tanti regimi rivoluzionari, militari, socialisti, panarabisti nati e crollati nei diversi stati regionali hanno favorito l’emergere dei movimenti islamisti, i quali si sono trovati in un paradosso: da un lato, seguendo la tradizione, rifiutavano l’idea della nazione, percepita come una contaminazione europea; dall’altro, si trovavano ad agire all’interno dei singoli stati, adottando sempre più agende politiche nazionali. È il caso, ad esempio, dell’Associazione dei Fratelli Musulmani, il più famoso movimento dell’islamismo politico, nata in Egitto nel 1928 e poi diffusasi in tutto il mondo arabo. Come dimostrato in questi ultimi anni con le Primavere arabe, i Fratelli Musulmani si muovono come partiti politici che operano a livello nazionale, puntando a gestire il potere nei singoli stati. Di fatto, si sono adattati all’idea nazionale.
IL RITORNO DEL MITO CALIFFALE
Chi, al contrario, ha sempre rifiutato questa logica è stato l’attivismo islamico violento, che propugnava il jihad globale, interpretato prima da al-Qaeda di Osama Benladen e poi dalla moltitudine di gruppi jihadisti che al qaedismo si sono ispirati.
Rifiutando ogni contaminazione occidentale, e favorendo una lotta totale contro i nemici dell’islam, la dimensione nazionale era ovviamente controproducente, tanto più che questi movimenti vivono del sostegno di volontari che provengono da tutto il mondo (e non solo islamico, visto il crescente peso dei jihadisti europei e americani). La vecchia idea del califfato offriva così una soluzione politica facile e non compromettente: permetteva di delegittimare i leader che si combattevano, fossero presidenti laici come Hosni Mubarak in Egitto o Bashar al-Assad in Siria, oppure monarchi come gli ’sceicchi dei petrodollari’. A livello dottrinale il califfato rispondeva perfettamente al bisogno ossessivo dei vari ideologi del jihadismo di ritornare al vero islam delle origini. In più politicamente era poco compromettente, dato che vagheggiare la riunificazione di tutta la ummah islamica, dal Marocco all’Indonesia, passando per l’Europa e l’Africa centrale era un sogno così distante dalla realtà da non suscitare tensioni fra le diverse etnie o discussioni politiche.
UN PROGETTO CHE VA DALL’IRAQ ALL’AFRICA
Le vicende di questi ultimi anni sembrano rilanciare questa visione transnazionale. La disgregazione del vecchio ordine politico arabo post coloniale seguito alla primavere arabe, con il collasso dei vecchi regimi, le guerre civili, la formazione di stati falliti e di aree svincolate a ogni tipo di controllo statuale, dal Mali alla Libia, dallo Yemen alla Siria e all’Iraq sembrano infliggere un colpo fortissimo ai vecchi stati nazionali creati un secolo fa. I feroci miliziani dello Stato islamico in Iraq e nel Levante (ISIS) combattono tanto in Siria quanto in Iraq: i confini fra i due stati non significano nulla per loro, dato che essi puntano a creare un’area sotto il loro controllo che vada oltre i governi nazionali. E lo stesso si può dire per i movimenti qaedisti che si muovono nella fascia del Sahara, fra Algeria, Libia, Niger e Mali. Tutti questi movimenti vagheggiano un califfato che è ben al di là delle loro possibilità. Tuttavia, questo ideale permette di creare potentati regionali che scompongono e ricompongono gli stati mediorientali, dominati dai vari capi guerriglieri che mischiano l’islam radicale con i traffici illeciti, il settarismo etnico-religioso ai legami con la criminalità organizzata internazionale.
Paradossalmente, sembra di rivivere la decadenza dei califfi abbasidi del XI e XII secolo: i capi tribali e militari che ne avevano svuotato il potere e che si combattevano con ferocia l’un l’altro, esaltavano sempre la restaurazione dei poteri del califfo di Baghdad, che essi stessi minavano con le loro azioni. Lo stesso avviene in questi anni per la masnada di assassini e feroci guerriglieri che sta insanguinando tutta la regione: mentre massacrano decine di migliaia di civili inermi (quasi tutti musulmani come loro) per creare i loro potentati del terrore, vagheggiano un’unità di tutto l’islam e la fine delle divisioni interne.