Federico Mereta, Nòva – Il Sole 24 Ore 22/6/2014, 22 giugno 2014
I NOSTRI BATTERI CI CURERANNO
Può esistere un unico target per fronteggiare l’aumento di peso, difenderci dallo stress e dall’ansia, limitare l’impatto delle allergie, segnalare il diabete, addirittura ridurre il pericolo di ammalarsi di malattia di Alzheimer? A prima vista si tratta di una mission impossible, almeno sotto l’aspetto biologico. Eppure per la ricerca un denominatore comune su cui agire potrebbe esistere. È il microbioma, raccoglie i batteri che vivono nel corpo umano, e sono dieci volte superiori numericamente alle cellule dell’organismo che lo ospita, oltre ad avere un numero di geni più che centuplicato rispetto a quello umano.
Oggi lo studio del microbioma rappresenta uno degli aspetti più affascinanti della ricerca scientifica perché ogni giorno si aprono nuove correlazioni tra i batteri che albergano in noi, in particolare all’interno dell’intestino, e il benessere. E si cercano le vie per "modificare" a nostro favore la composizione della microflora, attraverso la somministrazione di ceppi selezionati dall’esterno. Basti pensare in questo senso alla ricerca che viene portata avanti dall’Agenzia Spaziale Giapponese (Jaxa) e un noto produttore di probiotici, per valutare l’effetto della somministrazione di batteri "buoni" negli astronauti che si trovano in condizioni di microgravità all’interno della Stazione Spaziale Internazionale (Iss). Lo studio, i cui risultati saranno noti nel 2020, mira a comprendere l’impatto di questi microorganismi sul naturale deterioramento della funzionalità immunitaria di chi si trova nello spazio, oltre a valutarne gli effetti sulla salute fisica e mentale.
In questo panorama di grande fermento, l’Italia gioca un ruolo da protagonista. «Siamo il secondo Paese al mondo per la ricerca sui probiotici, come confermano le rilevazioni dell’Università di Colonia disponibili sul sito ww.gopubmed.org», spiega Lorenzo Morelli, preside della Facoltà di Scienze agrarie, alimentari e ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza e coautore insieme a Roberto Berni Canani, docente presso il Dipartimento di Scienze mediche traslazionali dell’Università Federico II di Napoli, di un documento di consenso sui probiotici pubblicato sul Nature Reviews. «Questo dipende dal valore degli studiosi italiani e dal fatto che l’Italia rappresenta il primo mercato europeo in questo ambito. Il documento, realizzato da esperti di tutto il mondo, fa il punto sulle attuali conoscenze e soprattutto definisce le prospettive future, ricordando che l’impiego di ceppi batterici come "farmaci" da impiegare nei malati gravi debba essere guidato da sperimentazioni in grado di provarne efficacia e sicurezza». Molta acqua è passata sotto i ponti da quando sono iniziate le ricerche sui batteri che vivono nel nostro corpo, prima visti solamente come "contromisura" per terapie antibiotiche prolungate. Poi, il boom. «Oggi sappiamo che nei bambini alterazioni del microbioma possono entrare in gioco nell’allergia e che le cellule del sistema immunitario concentrato in gran parte nell’intestino "parlano" con i microorganismi presenti», precisa Morelli. «Questo ha portato a comprendere il ruolo dell’integrazione con specifici ceppi in chi soffre di sindrome di colon irritabile e addirittura per gli anziani che si sottopongono alla vaccinazione antinfluenzale, visto che i probiotici possono migliorarne gli effetti difensivi. Oggi abbiamo diverse prove sugli effetti della somministrazione di probiotici sul sistema immunitario e addirittura sul sistema nervoso».
La ricerca, peraltro, si impegna a trovare nuove prove in questo ambito. Ad esempio uno studio dell’Università di Goteborg, apparso su «Nature», dimostra come nei diabetici il microbioma cambi rispetto alle persone sane, addirittura anche solo in presenza di picchi di glicemia. In Francia gli esperti dell’Istituto nazionale di ricerca agronomica hanno scoperto che la composizione dei batteri potrebbe influire sul modo di metabolizzare il cibo e spiegare come certe persone prendano più facilmente peso. E in Italia si è dimostrato che agendo sui batteri si potrebbe interferire con i meccanismi che danno origine alla malattia di Alzheimer, grazie all’azione della tossina Cnf-1 prodotta dal batterio Escherichia Coli, contrastando l’infiammazione. Ma siamo solo all’inizio.
Federico Mereta, Nòva – Il Sole 24 Ore 22/6/2014