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 2014  giugno 22 Domenica calendario

ADDIO A CONLON, IL DREYFUS IRLANDESE CHE ISPIRÒ “NEL NOME DEL PADRE”

Qualcuno lo chiamava il “Dreyfus irlandese”: vittima di un errore giudiziario clamoroso, e di un’accusa infamante, quasi quanto quella che vide protagonista l’ufficiale francese diventato sinonimo del celebre “j’accuse” di Zola. Gerry Conlon passò in carcere 15 anni, considerato colpevole e responsabile degli attentati compiuti dall’Ira, l’Irish Republican Army, l’esercito clandestino repubblicano che si batteva per l’indipendenza dell’Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna, contro due pub di Guilford, cittadina del sud dell’Inghilterra, nel 1974. Due azioni che fecero cinque morti, tra cui quattro soldati britannici, scioccarono la nazione e restano tra gli episodi più sanguinosi dell’era dei “Troubles”, come viene ricordato il conflitto tra cattolici e protestanti in Ulster che in trent’anni ha fatto più di tremila vittime.
Ma Conlon era innocente. All’epoca era un ventenne sbandato che beveva troppo a giocava d’azzardo. Apparve l’imputato ideale per un’opinione pubblica che voleva un colpevole ad ogni costo e in fretta. Fu arrestato e condannato all’ergastolo. Gli inquirenti dissero che aveva confessato: ed effettivamente lo aveva fatto, ma, come si scoprì solo molto tempo dopo, aveva confessato sotto tortura. Nel frattempo altre persone innocenti, tra cui il padre di Conlon (che di nome si chiamava Giuseppe in omaggio a un gelataio italiano che lavorava in Irlanda), erano state arrestate come complici. Proprio la morte di Conlon senior, avvenuta in carcere nel 1980, e l’infaticabile impegno di un avvocato inglese, portarono alla luce gli errori commessi nelle indagini e le violenze contro gli imputati, fino all’annullamento delle condanne per i cosiddetti “Guildford four”, i quattro di Guildford, com’erano stati soprannominati, deciso dalla Corte d’Appello di Londra nel 1989.
La vicenda ha ispirato un film memorabile, “Nel nome del padre”, esordio cinematografico dell’attore Daniel Day-Lewis, oltre che fiumi di inchiostro tra inchieste giornalistiche e libri. Gerry Conlon tornò in libertà, ma ricevette le scuse ufficiali del governo britannico per l’ingiustizia subita soltanto sedici anni più tardi. Soffriva di incubi e disturbi psichiatrici: in un certo senso non si è mai più riavuto dalla vicenda che lo ha colpito. Si è ammalato di cancro ed è morto ieri, dopo una lunga malattia, all’età di 60 anni, nella casa di Falls road, il quartiere cattolico di Belfast, dov’era tornato a vivere.
Il “Dreyfus irlandese” passerà alla storia come un simbolo di una tragedia che ha sfregiato il cuore dell’Europa. Anche, questo è vero, di un torto riparato e di una giustizia infine affermata, ma quando la giustizia arriva troppo tardi non serve più a molto, se non a ricordare a chi resta che non bisognerebbe ricadere negli stessi errori. L’Irlanda del Nord ha avuto una fragile pace; se e quando diventerà duratura, quale che sia la soluzione che sarà stata escogitata, dovrà probabilmente sorgervi anche un monumento a Gerry Conlon, “nel nome del padre” che cattolici e protestanti pregano in modo simile ma con richieste radicalmente contrapposte.
Enrico Franceschini