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 2014  giugno 23 Lunedì calendario

LA DECADENZA DI DIEGO E PELÈ MITI DA SPOT TRA GAFFE E INSULTI

L’intervallo delle partite in tv, il momento dei consigli per gli acquisti è un film dell’orrore. Protagonisti: quel che resta di Maradona e Pelè. Prima scena: due brasiliani guardano una partita, dalla poltrona emerge una testa ridente, uno spirito maledetto, un argentino, Dieguito, mano de Dios y cabeza del diablo. Corrono a venderla on line e ci salvano tutti. Ma non dalla seconda scena: supermercato affollato, offerte straordinarie, direi regali, infatti s’avanza un’altra poltrona, che è un trono, e sopra siede O Rei, Pelè. Con tanto di corona e manto: sembra uno di quei pazzi despoti africani, Bokassa, Amin Dada, Mobutu, 3x2, fate voi.
Si ammazzano così anche le leggende. Forse i due più grandi calciatori di tutti i tempi ridotti a macchiette quotidiane. Maradona respinto alla partita d’esordio dell’Argentina al Maracanã. Ma la Fifa spiega: «Forse lui e il suo piccolo Diego hanno sbagliato entrata». Pelè si perde Brasile-Messico, imbottigliato nel traffico di Fortaleza, ma la verità è: nessuno lo aveva invitato. Maradona lascia Argentina-Iran prima che finisca. Messi segna appena lui esce e Grondona gli dà dello iettatore, costringendolo a rispondere serenamente con il dito medio. Pelè manco arriva a Brasile-Messico, gli tocca seguirla alla radio, come solo fece nel 1950, quando l’Uruguay si pappò il Maracanazo. «Vorrei il bis», ha detto. Dio, o chi per lui, gliene scampi.
Attenti a quei due. Sono stati immensi in campo. Sono terribili fuori. È una cosa tristissima raccontarli oggi, tra pubblicità degli shampoo anti forfora e pronostici che nemmeno la zia Maria. Pelè e Maradona sono stati la storia del calcio, ma occorreva venire fin qui per scoprire che questo vale per noi occidentali, è un’altra forma di orientalismo o sudismo, chiamatelo come volete, una soggezione intellettuale da Gianni Minà 2.0 che ci spinge ad ascoltare ancora gli idoli caduti.
Maradona, per dire, Un gufo, secondo il plenipotenziario della federazione argentina, Grondona. Esce dallo stadio lui, e Messi segna. È una considerazione vigliacca, ma è anche vero che con Maradona ct Messi non segnava mai. Tocca lasciarlo libero, dargli la squadra che vuole, per novanta minuti sarà noia e disgusto, ma al novantunesimo Leo risolverà la partita. Maradona non poteva farlo. Perché? Perché voleva essere lui, quello che risolveva la partita. Lui, Messi.
Lui e Pelè si detestano. L’unica cosa che abbiano veramente in comune è di essere detestati dal loro popolo. Li amano molto di più all’estero. Maradona è un idolo a Napoli e nelle trasmissioni di Fabio Fazio. Commenta i mondiali per una tv venezuelana. Quella argentina ha rifiutato le sue richieste: eliminare Daniel Passerella dal panel, procurargli, stando ai dirigenti, ragazze per la notte e pagarlo su conti offshore. Diego è l’unico che ti induce a tifare per Equitalia. Che Pelè sia amato dai brasiliani è un’altra bufala. Ha segnato 1281 gol, ma in Brasile nei sondaggi sul calciatore del cuore viene dopo Garrincha. Perché? Quello era cuore, lui cervello. In Europa è un simbolo, in Brasile no. Semmai lo è Socrates. Il Dottore si batteva per la gente, Pelè è andato al seguito di qualunque governo, dittatura o democrazia che fosse. Rappresenta il passato, la storia, non il presente, mai il futuro. Disse Romario: «È un poeta, quando tiene la bocca chiusa». Quando parla, è un disastro. Ha pronosticato il Brasile vincente e tutti si sono toccati laggiù. Profetizzò una squadra africana campione del mondo entro al fine del secolo. Scorso. Nominò suoi eredi il ghanese Nii Lamptey e l’inglese Nick Barmby. Chi li ha visti? Il piranha a cui gli inglesi hanno dato il suo nome ha previsto che avrebbero sconfitto l’Italia all’esordio.
Come no.
Maradona, invece, ha scommesso su una finale Germania-Belgio. Quattro anni fa, quando lui sedeva sulla panchina dell’Argentina, la Germania lo umiliò. Ora morirebbe piuttosto che ammettere che si possa andare oltre senza di lui. Esattamente vent’anni fa, negli Stati Uniti, con gli occhi iniettati di furia, giocò la sua ultima partita ai mondiali. Da allora è stato un avatar inacidito di se stesso. Ne ha per chiunque. «Blatter dovrebbe chiudersi in bagno». «Grondona è un povero stupido ». «Su Casillas aveva ragione Mourinho». «Il Baffone (Del Bosque, ndr) non ci ha capito niente».
Parlano, Maradona e Pelè, perché qualcuno mette loro davanti un microfono, ma spesso si ha l’impressione che non sappiano più quel che dicono, abbiano perso contatto con il mondo del calcio e il mondo in generale. Abbiano avuto e sperperato troppo: affetto, soldi, stima. Tra calciatori e pubblicità il rapporto è perverso. Tocca pensare alla pensione anticipata e alla famiglia allargata. Almeno, bisognerebbe pretendere che i copy si sforzassero. Quando vedi Pirlo, il più intelligente della sua risma, a braccia incrociate mentre giura che quella alle sue spalle c’è la «miglior finestra del mondo» ti viene tristezza. Ma Maradona e Pelè, dispersi tra shampoo antiforfora a fast food, affermazioni improbabili e entrate fuori tempo, non erano troppo grandi per scendere così? Non potevano morire in cielo, già che c’erano?
Gabriele Romagnoli