Andrea Tarquini, la Repubblica 23/6/2014, 23 giugno 2014
«IO, MAI A SCUOLA». LA SFIDA DI ANDRÉ, AUTODIDATTA FELICE E VINCENTE
Crescere, vivere da bambino e poi diventare adolescente e adulto, apprendere cultura generale e lingue, tecniche, musica e altre arti. Nell’Europa plasmata dall’Illuminismo è il cursus che, per diritto e dovere, è gestito, in ogni vita, dalla scuola. Ma davvero è l’unica via? No, altre strade sono possibili. Almeno se hai la fortuna di avere per padre un pedagogo rivoluzionario, celebre intellettuale europeo del dopoguerra, e per mamma una geniale ex insegnante di scuola materna.
Questa è la storia di André Stern, figlio appunto del padre della pedagogia alternativa Arno Stern e di Michelle amore della sua vita: André ha imparato tutto a casa, con l’aiuto della famiglia, di amici, di insegnanti improvvisati. E da adulto ha una vita felice e realizzata, musicista, compositore, liutaio, giornalista e scrittore. Il suo libro di confessioni, riflessioni e ricordi autobiografici – “Non sono mai andato a scuola, storia di un’infanzia felice”, appena uscito in Italia per i tipi della casa editrice Nutrimenti - ci narra questa esperienza straordinaria.
«Criticare la scuola non è affar mio, né la mia missione», scrive. «Tutto desidero tranne essere il nemico numero uno della scuola. A differenza di coloro che la fanno, non ho niente da difendere…ciò che ho vissuto può essere applicato solo a me». Ciò che ha vissuto ha radici lontane: papà Arno Stern fuggì dal nazismo prima in Francia poi in Svizzera. Nel dopoguerra, avviò a Parigi i suoi esperimenti di pedagogia alternativa. È il 1948 quando fonda l’Académie du jeudi, a Saint-Germain-des-Prés, scrive libri, pubblica articoli. Viaggia anche, dalle Ande ai deserti africani, per studiare l’infanzia in ogni angolo del mondo. E con la seconda moglie Michelle sceglie di crescere André in un modo diverso. «Nella mia infanzia tutto andava da sé e regnava l’allegria. Ero un bambino felice e pieno d’entusiasmo. Apprendimento e gioco per me erano sinonimi».
L’idea di papà Stern partiva da un principio semplice: liberare il piccolo André dallo stress della competizione tra coetanei a scuola, affrancarlo dall’istruzione schematica e uniforme, da routine rivalità e aspettative logoranti del quotidiano in una classe, tra pagelle trimestrali, promozioni e bocciature. Il tempo, ricorda André nelle sue pagine che scorri veloce, era scandito «in modo tranquillo ed estetico». Settimane piene, ma prive dello stress della corsa al bel voto. André apprende le lingue con l’immersione totale: il tedesco da papà e dal fratello maggiore Bertrand, l’inglese da David, un colto giovane britannico venuto per caso nell’atelier.
Poi matematica e algebra, le arti: dalla lavorazione del rame, alla pittura. Fino alla musica: sempre come un gioco. Ogni settimana, a un concerto a sorpresa, poi musica applicata con Alain, il fratello del grande Boris Vian. Fino a corsi pratici di liuteria. E le tecniche: dall’uso dei trenini Maerklin per apprendere come funziona una vera macchina a vapore, alla camera oscura e poi alla prima Leica. E viaggi attraverso l’Europa e altrove con papà, occhi aperti su altri modi di pensare.
Esperimento non facile, avrebbe anche potuto fallire. Ad André è andata bene, e tutto era anche legale, papà era pedagogo. Oggi vive felice, intellettuale di successo. A chi contesta la sua storia, risponde: «Perché considerare fondamentale il contatto con altri bambini? Non è forse più importante il contatto con altre persone? Considerare i bambini categoria distinta dagli adulti porta a separarli da essi, si crea un divario». Troppo spesso, pensa Andrè, la scuola nella sua rigidità strutturale narcotizza la creatività del bambino, la sua preziosa energia iniziale. Invece «il rispetto di una facoltà vitale porta l’adulto a guardare il bambino in un altro modo, a mettersi al servizio del suo genio».
Andrea Tarquini